Sondrio - «Guardi, non fraintenda, qui è tutto bellissimo...». Però? «Però le sembra possibile che ci vogliano due ore per andare a Milano? Quando va bene?». Claudio Palladi, originario di Reggio Emilia, è arrivato a Sondrio due anni fa per dirigere il marchio della bresaola Rigamonti. Dopo anni tumultuosi, l’azienda fattura 109 milioni di euro e realizza il 15% dei suoi ricavi all’estero. Ma resta in balìa del «magnifico isolamento» della provincia più a nord della Lombardia, scollegata persino da uno sbocco naturale come Milano. Il cruccio di Palladi è quello che accomuna tutti gli studenti, pendolari e appunto imprenditori della Valtellina: la carenza cronica di infrastrutture, il deficit che elegge la provincia come una delle peggiori di Italia per accesso ai nodi logistici. Sondrio, insieme a Lecco, è nota per essere una delle uniche due città italiane «senza neppure un chilometro di autostrada» a disposizione dei suoi viaggiatori, mentre il trasporto di ferro scorre su un'unica rotaia. La tratta più popolata, Sondrio-Milano, richiede un tempo di percorrenza di due ore. Ma a quanto pare i 120 minuti stimati dal tabellone sono un'approssimazione anche un po' troppo elastica. «Non si preoccupi, è così pure in auto» fa notare Palladi.
Vicini e lontani da tutto
In linea d’aria, Sondrio è a poco più di 100 chilometri da Milano e confina con la Svizzera. È il cuore di un distretto dell’agroalimentare che vanta marchi come la stessa Rigamonti e i biscotti di Galbusera, attrae turisti sulle piste sciistiche di Bormio e Madesimo, si mantiene su un livello discreto di benessere (Pil pro capite medio di 27mila euro l’anno, il 30esimo in Italia). Eppure sembra distante da tutto. In un'elaborazione della Confindustria locale, la provincia risulta la più sottodotata dell'intera Lombardia per il livello delle sue infrastrutture. Su una base pari a 100, indicativa della media nazionale, la qualità della rete stradale si ferma a un punteggio di 29,9 (contro i 112 di Brescia), mentre il trasporto ferroviaria arriva a 67 (poco più della metà di Milano, valutato con 132). La conformazione geografica non gioca a favore, ovviamente. La Valtellina si apre al resto della Lombardia con un unico sbocco che guarda a sud, la dorsale Colico-Lecco, costringendo pendolari, turisti e trasportatori a ingorgarsi sull’arteria ogni volta che si spostano su gomma. Per anni si è parlato di un traforo sul Mortirolo che schiudesse la via a est, verso Brescia, saldando la vallata alla comunità di Edolo e ai suoi collegamenti ferroviari e stradali.
Al momento non se ne è fatto nulla, anche se l’atteso tunnel compare nell’elenco delle infrastrutture ferroviarie del Programma regionale della mobilità e dei trasporti approvato dalla Regione nel 2016. A fare le spese dello stallo sono gli oltre 300mila spostamenti che si registrano tutti i giorni nella provincia, in quattro casi su 10 per ragioni di studio e lavoro. Due viaggi su tre si svolgono in auto, mentre tempi e disagi del trasporto pubblico diminuiscono al quota di cittadini che si affida ai “mezzi”: appena il 2% degli spostamenti avviene su ferro, contro la media regionale del 9%. Lo stesso livello della motocicletta. L’offerta di viabilità è così scarna che qualsiasi inconveniente stradale mette a rischio la routine di imprese votate, in larga parte, ad attività che si basano sulla mobilità. Sulle circa 15mila imprese registrata alla Camera di commercio locale, il 21% rientra nel settore del commercio, il 13% nel turismo e il 9% nelle attività manifatturiere. C’è un 3% che si occupa di trasporti e, prevedibilmente, ha più a cuore della media l’isolamento logistico della provincia. «Le conseguenze sull’economia locale non sono gravi. Sono devastanti» si sfoga Paolo Oberti, titolare di So Log, un’azienda di logistica che macina 7 milioni di chilometri l’anno e ha sede a Tirano. Neanche a dirlo, l’ultima fermata della linea che parte da Milano e passa per Sondrio.
Lo scarso appeal per i giovani
Sondrio non è neppure così “anziana” , rispetto ada altre province. Ma da qui a definirla attrattive ne corre, nonostante la presenza di un tessuto imprenditoriale più vivace da quello che traspare oltre ai confini della Valtellina. Anche le aziende più protese all’internazionalizzazione fanno fatica a catturare i famosi «talenti del settore», allontanati dalla difficoltà oggettiva di lavorare in città senza trasferirsi in pianta stabile. Per limitarsi al trasporto ferroviario, un laureato residente a Milano dovrebbe investire tutti i giorni quattro ore di tempo per andare e tornare da lavoro. Per fare lo stesso tragitto su Brescia ne basta poco più di una. Carcano Antonio, un’azienda metalmeccanica specializzata in alluminio, fattura 170 milioni di euro l’anno, con un’incidenza dell’export pari al 55%. Due delle sue tre unità produttive sono in provincia di Sondrio, ad Andalo Valtellino e Delebio, e hanno «costante bisogno» di laureati come ingegneri e chimici industriali. È facile trovarne? Che domande: no.
«Non ci sono mezze misure, lavorare a Sondrio significa trasferirsi qui. E non tutti sono favorevoli» spiega Camilla Pini, chief financial officer dell’azienda. Oltretutto, l’handicap infrastrutturale si allarga anche ai sistemi di comunicazione virtuali. Carcano Antonio è riuscita a strappare «dopo un anno e mezzo» la fibra ottica, mentre appena l’1,5% della popolazione è coperta dalla banda larga. La sommatoria di problemi di percorribilità e connessione zavorra la crescita di un distretto che avrebbe voglia di guardare al di fuori di se stesso, oltre ai «colli di bottiglia» che ne bloccano l’accesso. Finora gli appelli sono caduti a vuoto, e Milano sembra ancora più distante. «A questa città - dice Lorenzo Riva, presidente di Confindustria Lecco e Sondrio - serve l’abc del ringiovanimento, dalla viabilità alla banda larga. Anche perché ci sono aziende che potrebbero dare lavoro qualificato, soprattutto in ambito tecnico. Aspetti, le hanno già detto che siamo l’unica provincia senza un chilometro di autostrada?».
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