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Le divisioni Ue tra forma e sostanza

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L'Analisi|IL FUTURO DELL’EUROPA

Le divisioni Ue tra forma e sostanza

Presa dalle nostre vicende parlamentari, l’opinione pubblica italiana non si è quasi accorta della riunione dell’ultimo Consiglio europeo. Eppure, quella riunione, per come si è svolta e per ciò che non ha deciso, consente di capire le divisioni che stanno emergendo nella politica europea.

Il Consiglio europeo è il massimo organo politico di quest’ultima. Tuttavia, la sua composizione è più che mai indefinita. Basti pensare che, nei due giorni in questione, esso si è riunito in formazioni diverse. Inizialmente, nella formazione di 28 capi di governo (incluso il premier britannico), poi in quella di 27 capi di governo (escluso il premier britannico) e infine in quella di 19 capi di governo (degli Stati membri dell’Eurozona, il cosiddetto Euro Summit). Tale indefinitezza è il risultato delle divisioni politiche tra gli Stati membri. Mi spiego.

Cominciamo dalla composizione. Prima della riunione di Bruxelles, la divisione politica sulla riforma dell’Eurozona si è manifestata attraverso uno scontro procedurale. Se la Francia (con il sostegno della Germania) aveva spinto affinché si convocasse l’Euro Summit per discutere l’agenda avanzata nell’autunno scorso dal presidente Macron (agenda che comprende la creazione di un bilancio dell’Eurozona e di un ministro europeo delle finanze), la coalizione di Paesi che contrastano quell’agenda (rappresentati dal presidente del Consiglio europeo, il polacco Tusk) aveva invece insistito per preservare il formato a 27, anche per discutere le questioni che riguardano i 19 Paesi dell’Eurozona. Alla fine, si è fatta la riunione dell’Euro Summit, ma la sua agenda si è concentrata esclusivamente sull’unione bancaria e sulla possibile trasformazione del Fondo salva-Stati (Esm) in Fondo monetario europeo. È evidente che tale scontro è stato tutto meno che procedurale. Con l’uscita del Regno Unito, la coalizione di Stati interessati a una integrazione esclusivamente economica si è trovata “spiazzata”. Il Regno Unito era stato il leader di quella coalizione. Pur non facendo parte dell’Eurozona, aveva potuto condizionare quest’ultima dall’esterno, in virtù della sua forza economica e politica.

Dopo la Brexit, quella coalizione ha dovuto allargare i suoi confini, collegando gli Stati euro-scettici del Nord, interni ed esterni all’Eurozona, con gli Stati sovranisti dell’Est. Tant’è che, su iniziativa dei Paesi Bassi, il giorno dopo il referendum del Partito socialdemocratico tedesco che approvò la grande coalizione, fu resa pubblica una lettera (sottoscritta dai ministri delle Finanze di Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania e Svezia) che affermava la necessità che la Ue mantenesse “un formato inclusivo” nella discussione sulle riforme da adottare per l’Eurozona. Dove, per inclusivo, si intendeva la composizione a 27. Se il formato è a 27, infatti, difficilmente la discussione potrà considerare progetti troppo “ambiziosi” (come quelli avanzati dal presidente Macron). Quella lettera apre dunque le porte ai Paesi del gruppo di Visegrad, che da tempo cercano di condizionare dall’interno il Consiglio europeo, minacciando veti ogni volta che quest’ultimo affronta temi per loro non-negoziabili (come la riallocazione dei profughi e rifugiati politici). Approfittando del prolungato stallo della politica tedesca, delle difficoltà della politica spagnola e dell’incertezza della politica italiana, si è venuta così a formare una alleanza tra euro-scettici (del Nord) e anti-europeisti (dell’Est) in funzione anti-riformista. Un’alleanza che ha bisogno del formato a 27 per contrastare l’influenza del nuovo asse franco-tedesco.

Vediamo ora le decisioni non-prese. Il Consiglio europeo ha naturalmente discusso di questioni importanti come la politica commerciale, la digital tax, la negoziazione in corso con il Regno Unito o la posizione da tenere nei confronti della Russia e della Turchia. Anche l’Euro Summit ha discusso di questioni rilevanti (come il completamento dell’unione bancaria e la trasformazione dell’Esm). Tuttavia, le questioni cruciali indicate dall’agenda di Macron (come dotare l’Eurozona di una capacità fiscale autonoma) non sono state neppure poste sul tavolo. Come aveva scritto il presidente Tusk nella sua lettera di convocazione dell’Euro Summit (di cui è anche presidente), su quell’agenda esiste “per ora un consenso limitato”. E naturalmente, quel consenso è destinato a diventare ancora più limitato, se la discussione dovrà essere fatta a 27 e non a 19. La questione di una fiscal capacity dell’Eurozona, tuttavia, è cruciale per stabilire il futuro di quest’ultima. Dopo tutto, se l’Eurozona avesse avuto una sua capacità fiscale autonoma, allora avrebbe potuto utilizzarla per finanziare politiche anti-cicliche (come un’assicurazione contro la disoccupazione giovanile, ad esempio) oppure per rafforzare gli strumenti di una politica comune in campi in cui gli Stati non hanno la forza per agire da soli (come la gestione dei flussi migratori, ad esempio). Interventi che avrebbero certamente prevenuto lo slittamento sovranista degli elettorati dei Paesi più deboli o più esposti (come l’Italia). E, naturalmente, chi vuole svuotare la Ue dall’interno si oppone a ogni trasferimento di (quote di) sovranità fiscale a Bruxelles. Con l’esito, peraltro, di rendere ancora più acuta la debolezza di Paesi come il nostro. Infatti, la sovranità fiscale nazionale, non essendo conciliabile con il trasferimento a Francoforte della sovranità monetaria nazionale, è stata avviluppata in un sistema di regolamentazioni così invasive da impedire l’adozione di specifiche politiche nazionali contro la disoccupazione o per il controllo dell’immigrazione. Così, ostacolare la fiscal capacity dell’Eurozona significa lavorare per la sua implosione.

Insomma, il Consiglio europeo di giovedì e venerdì scorsi ha mostrato la profondità della faglia che divide l’Europa. Chi vuole solamente l’integrazione economica, svuotandola di ogni dimensione politica, ha insistito per procedere in 27, sostenendo che “per ora c’è un consenso limitato” su riforme più ambiziose. Allargando l’arena decisionale, questa coalizione di Paesi vuole ridurre la capacità di leadership del ritrovato asse franco-tedesco (e soprattutto del presidente Macron). Invece, chi vuole o ha la necessità di approfondire l’integrazione dell’Eurozona non può che procedere a 19, dando all’Eurozona un carattere politico sempre più distintivo. Questo gruppo di Paesi è meno trasversale dell’altro, ma è anche più coeso e più forte. La maggioranza politica che si sta formando in Italia è probabile che finirà per spingerci verso la coalizione (ambigua) che lavora allo svuotamento dell’Eurozona. Tuttavia, vi è una parte del Paese che si riconosce invece nella coalizione (non-ambigua) del rafforzamento dell’Eurozona. Si tratterà dunque di vedere se emergerà un’opposizione in grado di rappresentarla. Comunque sia, le divisioni politiche in Europa e in Italia sono destinate ad allinearsi.

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