Nei giorni in cui l’amministrazione Trump minaccia dazi e muri per porre limiti al commercio globale, c’è un’altra parte del mondo, quella a Sud, meno sviluppata e di solito, storicamente, dipendente dal Nord, che prova ad alzare la testa e a unirsi per creare un’area di libero scambio grande quanto un continente. Succede in Africa. A Kigali, capitale del Rwanda, dove i leader di una quarantina di Paesi hanno appena firmato un’importante intesa per la creazione di una zona di libero scambio continentale. Si tratta dell’accordo commerciale internazionale più importante da quando è stata istituita la Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio. Il più grande per numero di Paesi coinvolti e la vastita dell’area interessata.
L’accordo si chiama AfCFTA, African Continental Free Trade Area Agreement. Un patto che impegna i Paesi firmatari a eliminare i dazi alle importazioni e le barriere tariffarie sul 90% delle merci negli scambi tra i Paesi africani. Il restante 10% di dazi sui “prodotti sensibili” verrà eliminato in una fase successiva. L’intesa è stata firmata dai capi di stato e di governo di 44 Paesi, sui 55 che compongono il continente e fanno parte dell’Unione africana. Mancano all’appello - per ora - nazioni importanti come Burundi, Uganda, Benin, Namibia, Eritrea, Sierra Leone e soprattutto Nigeria e Sud Africa, i due colossi che trainano l’economia del continente. Nella stessa occasione 27 Paesi africani hanno sottoscritto un secondo protocollo che autorizza la libera circolazione delle persone nei 27 Paesi firmatari. «È un giorno storico. Il Patto di Kigali segna una nuova tappa nella nostra marcia verso l’integrazione» commenta Moussa Faki, presidente dell’Unione africana. Il quale conta nel prossimo vertice di luglio dell’Ua, in Mauritania, di convincere gli altri Paesi a firmare.
«Un continente che è stato diviso 134 anni fa dalla Conferenza di Berlino ha deciso di integrarsi e di unirsi. Ci sono 84mila km di frontiere, 84mila km di ostacoli che fanno sì che gli scambi intra-africani rappresentino oggi appena il 17% del totale. È un’occasione enorme per l’Africa» afferma il presidente del Niger, Mahamadou Issoufou.
Oltre 2mila miliardi di Pil
A regime l’area di libero scambio africana interesserà 1,2 miliardi di persone e un Pil combinato che vale già adesso più di duemila miliardi di dollari l’anno. Allo stato attuale la gran parte delle merci in Africa, per un’eredità coloniale e per l’assenza di una vera industria, arriva dall’import: dalla Cina che è il primo partner commerciale, seguita dai Paesi europei in ordine sparso, da Stati Uniti e Medio Oriente.
La creazione di una zona di libero scambio è uno dei progetti chiave dell’Unione africana: permetterà di eliminare i dazi doganali, favorendo lo sviluppo della manifattura locale e il superamento di un sistema economico troppo centrato sull’export di materie prime. L’Africa vive una situazione preoccupante: la crescita economica continua da oltre un decennio non si è tradotta in una riduzione della povertà, anche a causa del forte aumento demografico. Nel 2018 le persone che vivono al di sotto della soglia della povertà sono circa 420 milioni, un terzo dell’intera popolazione: erano 358 milioni nel 1996 e 415 milioni nel 2011. Nelle zone rurali di molti Paesi i cambiamenti climatici moltiplicano le situazioni di siccità, con difficoltà nell’agricoltura. Ogni anno dai 10 ai 12 milioni di giovani africani, spesso acculturati, bussano alle porte del mondo del lavoro senza speranza. La pressione cresce. E senza cambiamenti reali nelle politiche sarà difficile rafforzare realmente la strada verso la crescita. Il percorso, per quanto complesso, sembra obbligato. Con la creazione dell’area di libero scambio africana si punta a far aumentare la percentuale di scambi intra-africani al 52% entro il 2022. Contro una percentuale attuale che è del 19% in Sud America, del 51% di Asia, del 54% del Nord America e del 70% dell’Europa. «È qualcosa che gli africani hanno deciso di fare da soli. Per una volta non sono la Banca mondiale o il Fmi a ordinarlo. Ed è un fatto straordinariamente positivo» dice David Luke dell’Uneca, la commissione economica Onu per l’Africa.
Assenze pesanti
Non è facile superare l’idea delle barriere tariffarie. All’ultimo minuto il presidente nigeriano Muhammadu Buhari ha cancellato la sua partecipazione alla cerimonia di Kigali per la firma dell’accordo. Dopo che sia l’Associazione dei produttori manifatturieri nigeriani (Man) che il potente sindacatoNigeria Labour Congress (Nlc) han messo le mani avanti ravvisando nell’eliminazione dei dazi un «rischio per la sopravvivenza della produzione nazionale». Buhari ha preso tempo. Il vecchio presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni, e la sua controparte del Burundi, Pierre Nkurunziza, hanno scelto la stessa strada. Ha chiesto più tempo per firmare anche il neo presidente sudafricano Cyril Ramaphosa: resta ancora senza risposta la questione delle compensazioni per i Paesi che hanno bisogno dei dazi doganali per tenere in equilibrio i fragili bilanci pubblici. Tuttavia sarebbero proprio le più avanzate economie africane, come Sud Africa e Nigeria, a beneficiare maggiormente delle possibilità offerte dalla creazione di questa enorme area di libero scambio dove sarà possibile vendere merci e passare da un confine all’altro senza sottostare a burocrazia, dazi e al “pizzo” della corruzione che capita spesso di pagare nei check-point della polizia malpagata sulle strade africane.
Uno studio dell’Unctad stima che con l’eliminazione di tutti dazi all’import spariranno in un sol colpo 4,1 miliardi di dollari di entrate per i Paesi africani. Via i dazi, ma al contempo si creerà un guadagno in termini di welfare, nel lungo termine, per tutti i cittadini africani stimato in 16,1 miliardi di dollari. Si favorirà la nascita dell’industria manifatturiera nazionale nei rispettivi Paesi. Cosa che creerà lavoro, reddito, benessere per molti che con una prospettiva di lavoro sceglieranno di restare e di non scappare più verso l’Occidente e i suoi miraggi sbiaditi. Senza contare che una «free trade area» continentale favorirà anche le esportazioni dai Paesi terzi perché favorirà gli scambi in generale.
I prossimi passi
Il testo sull’accordo AfCFTA contiene la cornice legale per far nascere l’area di libero scambio continentale. L’accordo dovrà ora essere ratificato dai singoli Paesi, nei rispettivi parlamenti dai prossimi sei mesi, fino a un massimo di diciotto mesi. Entrerà in vigore nel momento in cui verrà ratificato almeno dalla metà dei Paesi firmatari, cioè da 22 Paesi. Una seconda fase di negoziati, in seguito, dovrà cercare di individuare gli investimenti necessari per avviare l’area di libero scambio e le compensazioni . I Paesi africani dovranno anche stabilire quali sono i “prodotti sensibili” che rientrano nel 10% esentato dall’abolizione dei dazi. La Commissione africana nella modernissima nuova sede di Addis Abeba - donata dai cinesi - dovrà istituire un segretariato per gestire l’attuazione dell’accordo. Non sarà facile. L’Onu si augura che i Paesi africani possano muoversi «molto in fretta».
Così in un futuro non lontano si potranno vendere merci in Africa senza dazi. E spostarsi da un Paese all’altro senza problemi. Come avviene in Europa. Mentre l’America si chiude. Il resto del mondo, quello più povero, continua ad andare verso un’altra direzione.
© Riproduzione riservata