Se pur limitato nel suo impatto sul Pil e sui conti del 2017, il ricalcolo operato da Eurostat sugli effetti in termini di maggior debito e deficit del salvataggio delle banche venete impone di rivedere al rialzo il consuntivo reso noto dall’Istat lo scorso primo marzo.
Non si tratta di valori rilevantissimi, e tuttavia suscettibili di complicare sia il giudizio europeo in programma per maggio, con annessa la richiesta di una manovra correttiva da almeno 3,4 miliardi (che probabilmente slitterà in attesa che si formi il nuovo governo), sia la successiva trattativa da avviare con la Commissione Ue, in vista della predisposizione della manovra di bilancio del 2019. Anche alla luce dei nuovi target di finanza pubblica (e del loro conseguente effetto di trascinamento sull’anno in corso), gli spazi di manovra si restringono. E rendono comunque obbligata la strada di un confronto con Bruxelles non muscolare ma ispirato a una accorta tattica negoziale. A partire dalla richiesta stessa della manovra correttiva, che secondo le valutazioni di Bruxelles dovrebbe colmare lo scarto nella riduzione del deficit strutturale richiesta dalle regole europee, e quello previsto dalla manovra 2018.
In aggiunta, se il prossimo governo intenderà provare a disinnescare l’aumento di Iva e accise in programma dal prossimo anno per 12,4 miliardi elevando l’asticella del deficit 2019 (ora allo 0,9%), è comunque da una trattativa con Bruxelles che dovrà passare. Quanto alle misure annunciate in campagna elettorale sia dal centrodestra che dal M5S (dalla flat tax al reddito di cittadinanza per finire con la revisione e/o cancellazione della riforma delle pensioni varata nel 2011 dal governo Monti), al momento non si può far altro che sospendere il giudizio.
È evidente che – alla luce delle compatibilità di finanza pubblica – non si potrà forzare ulteriormente per quel che riguarda le regole europee. L’unica strada sarà individuare coperture idonee, e dunque tagli alla spesa. Di quale entità? Al momento non è dato saperlo. Le incognite sulla composizione e sui tempi che occorreranno per la formazione del nuovo governo sono tali da non consentire di azzardare numeri. Vale la pena di ricordare che la notifica Eurostat (della cui fondatezza si può legittimamente discutere) è prevista in applicazione del Protocollo sulla procedura per i deficit eccessivi. Il sentiero resta stretto e il nuovo governo potrebbe essere chiamato al puntuale rispetto della regola del debito. Vincoli che si possono (e forse si devono) rivedere con il necessario consenso politico in sede europea, e che tuttavia fino a che sono in vigore vanno rispettati. Soprattutto se si intende provare a spuntare nuovi margini di flessibilità. La base di partenza ora è mutata anche se non in misura rilevate, e da qui occorrerà partire. Per quel che riguarda il deficit, il nuovo target si colloca nei dintorni del 2,1-2,2% del Pil, rispetto all’1,9% stimato un mese fa (2,1% è la previsione contenuta nella Nota di aggiornamento al Def dello scorso settembre).
In poche parole, i 4,7 miliardi ricalcolati da Eurostat impattano per intero sul deficit, mentre il debito sale al 131,8-131,9% contro il 131,5% della precedente stima. Il nuovo target incorpora il maggior esborso per l’operazione messa in atto per le banche venete non inserito nel precedente calcolo dell’Istat (attorno ai 6,4 miliardi, su un totale di 11,2 miliardi). È vero che anche con la revisione operata da Eurostat il debito risulta leggermente in calo rispetto al 132% del 2016, confermando in tal modo quanto più volte sostenuto dal Governo a proposito della sostanziale stabilizzazione del debito in rapporto al Pil.
Ma è altresì vero che il rischio di “deviazione significativa” dal sentiero programmato, paventato dalla Commissione Ue fin dallo scorso ottobre, è tuttora tutt’altro che scongiurato. Il nodo è che il debito non scende a un ritmo sufficiente. La strada maestra resta quella di spingere sul “denominatore”, rendendo la ripresa solida e più sostenuta dell’1,5% (o giù di lì) previsto per quest’anno. Non arrestare il percorso delle riforme strutturali è dunque precondizione assoluta. Vi è da augurarsi che questo tema riemerga con forza, e proceda di pari passo con il diradarsi delle mirabolanti promesse della campagna elettorale. I tempi lunghi, obbligati dato l’esito del voto, per la formazione del nuovo Governo (oggi partiranno le consultazioni al Quirinale) non devono distogliere l’attenzione rispetto alle urgenze e alle priorità della nostra economia.
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