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Gli ostacoli sulla via della futura Unione

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TRA NOMINE E RIFORME

Gli ostacoli sulla via della futura Unione

Reuters
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Alla luce di quanto è avvenuto nelle ultime settimane, Emmanuel Macron e Angela Merkel si trovano a dovere rivedere i calcoli che ognuno di loro aveva fatto in previsione sia dell’imminente round di Bruxelles sulle riforme dell’Eurozona, sia della scadenza nel 2019 di alcune delle massime cariche al vertice delle istituzioni comunitarie.

È noto come il presidente francese mirasse, pur nell’ambito di un rinnovato asse franco-tedesco, ad assumere la guida politica della Ue. Altrettanto noto era il fatto che la Cancelliera non fosse disposta a cedergli il passo: sebbene avesse dovuto, per la ricostituzione della Grosse Koalition, lasciare a un socialdemocratico il ministero delle Finanze che era stato da un decennio, con Wolfgang Schaüble, il perno e la leva principale della leadership tedesca.

In vista della ripresa del lavoro in agenda su importanti dossier riguardanti le direttrici di marcia dell’Unione europea, sia Macron che la Merkel avevano badato a premunirsi per tempo: l’uno, cercando di trarre dalla propria parte il governo italiano mediante il progetto del “trattato del Quirinale”, proposto nell’autunno scorso a Gentiloni; l’altra, confidando nei tradizionali rapporti di solidarietà di alcuni Paesi del Nord Europa con Berlino, ma soprattutto su un rafforzamento delle relazioni con Madrid, avendo fatto capire a Rajoy che la Germania avrebbe appoggiato la candidatura di un esponente spagnolo per la presidenza della Bce, quale successore nel 2019 di Mario Draghi.

Senonché tanto il disegno di Macron che quello della Merkel appaiono adesso scontrarsi con più di un ostacolo sulla loro strada. L’inquilino dell’Eliseo è alle prese con un braccio di ferro, assai più duro di quanto pensasse, con i sindacati avversi alla riforma del mercato del lavoro e con i ferrovieri (i cui scioperi a catena contro il piano di ristrutturazione del settore stanno paralizzando il Paese). A sua volta, la Cancelliera deve neutralizzare i forti dissensi manifestatisi da alcuni settori della Cdu e del Csu per l’esito della partita con la Spd che ha finito per avvantaggiare lo “stato maggiore” dei socialdemocratici, ancorché usciti con le ossa rotte dalle elezioni del settembre scorso.

Per di più, da un lato, l’uscita di scena del governo Gentiloni dopo il risultato delle elezioni del 4 marzo e gli sconfinamenti arbitrari dei doganieri francesi alla frontiera di Bardonecchia per perquisire qualche migrante irregolare, hanno reso quantomeno improbabile la prospettiva coltivata da Macron di aggregare la Penisola entro la sua sfera d’azione; dall’altro, l’arresto da parte delle autorità tedesche del fuggitivo leader indipendentista catalano Carles Puigdemont, di passaggio in Germania, ha complicato i propositi della Merkel di assicurarsi una solida sponda a Madrid. Il fatto che la magistratura tedesca abbia respinto la richiesta di estradizione dell’ex presidente della Catalogna avanzata dal governo spagnolo per il reato di “ribellione contro lo Stato”, mentre ha ravvivato le istanze dei separatisti di Barcellona e di quanti anche altrove simpatizzano con la causa di Puigdemont, ha deluso naturalmente le aspettative di uno dei più stretti alleati di Berlino come Rajoy, oltre che tra i rappresentanti più autorevoli del Partito popolare europeo.

Di fatto, da una parte, il vistoso successo elettorale in Italia di due leader populisti (anche se alcuni uomini dello staff di Macron tendono a distinguere fra il filolepenista Salvini e l’euroscettico Di Maio) e, dall’altra, il contenzioso giudiziario assolutamente fortuito ma ingombrante insorto con la Spagna, con la quale la Germania si trova direttamente o indirettamente a che fare, rischiano di ripercuotersi sul percorso della Ue verso l’appuntamento del Consiglio europeo di giugno. E ciò proprio in una fase particolarmente controversa, in quanto la Comunità europea è impegnata non solo a sciogliere certi nodi cruciali sopraggiunti in seguito sia alla minaccia di una guerra commerciale con gli Usa e al ritorno di un clima da Guerra fredda fra Occidente e Russia (all’indomani dell’attacco americano e anglo-francese in Siria), ma anche a risolvere gli spinosi problemi esistenti in materia di relazioni con il gruppo di Visegrad e in materia sia di immigrazione e di sicurezza, sia di politiche economiche e di sistemazione dei rapporti con Londra dopo la Brexit.

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