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L’Economia circolare per superare l’«usa e getta»

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Scenari

L’Economia circolare per superare l’«usa e getta»

La crisi economica, i moniti della Bce e il revival del protezionismo. I fattori di criticità sono questi e le prospettive non paiono rosee. E se la politica fosse, per una volta, più avanti dell’economia? Non capita spesso, ma stavolta pare vi siano i presupposti. Il tema è internazionale, riguarda l’Economia circolare, i rifiuti, il riciclo. Pochi giorni fa l’Europarlamento ha votato “sì” al Pacchetto. La quota di rifiuti urbani (domestici e commerciali) da riciclare passerà dall’attuale 45% al 55% nel 2025. L’obiettivo salirà al 60% nel 2030 e al 65% nel 2035. Riciclo, riutilizzo e rifiuti concepiti come risorsa, diventano i pilastri di un nuovo paradigma. Il ruolo di crescita, rimodulato e reinterpretato.

L’Unione europea procede in una direzione ben tracciata, le imprese, chissà. Alcune sono ai blocchi di partenza, attrezzate e reattive, altre no. L’incubo di un’altra crisi economico-finanziaria potrebbe essere esorcizzato dall’economia circolare. L’assiomaticità dell’economia standard, fondata sulla razionalità e sulla massimizzazione dell’utilità si sfarina tra le pagine del Nobel per l’Economia, Richard Thaler, che introduce la psicologia nell’analisi del comportamento degli agenti economici. Il comportamento umano concepito come risultante di istinto ed emozione da una parte e ragione dall’altra.

Ben prima dei Nobel per l’Economia che flirtano con la psicologia, Darwin era stato lungimirante: l’uomo è parte della natura e il suo benessere dipende dai beni e dai servizi ricavati dall’interazione con l’ecosistema. In altre parole, l’economia è connessa alla natura e nulla è per sempre. Neppure la crescita. Alcuni economisti lo teorizzano da tempo. Potrebbe essere l’ora del riscatto per la scienza triste. Gli ultimi premi Nobel hanno picconato alcune certezze, non più granitiche e ora si intravedono i confini di una nuova era, una post-glaciazione in cui emergono altre geografie, orografie. Teoriche ed empiriche.

Gli economisti parla(va)no di «non saturazione dei bisogni», ovvero l’idea che non esista un limite ai bisogni e quindi ai consumi. Nel 2005, Clive Hamilton e Richard Denniss, nel loro libro Affluenza - When too much is never enough teorizzavano la non sazietà nella fruizione dei beni e quindi la tendenza ad aumentare infinitamente il Pil. Dieci anni dopo sembra chiaro che la crescita sia spesso una trappola evolutiva; senza crescere il sistema capitalistico imploderebbe. Vero. Ma la crescita esaurirà le risorse.

Jeremy Rifkin, nel suo ultimo libro, La società a costo marginale zero, rileva come, accanto alle alternative biologiche alle plastiche dovremmo orientarci verso una nuova economia circolare, dove si riusano e si riciclano gli oggetti non biodegradabili. Con l’impegno e la consapevolezza che i nostri scarti di plastica non inquinino né il territorio né le acque.

L’europarlamentare del Pd, Simona Bonafè, relatrice delle 4 direttive sull’Economia circolare dopo la loro approvazione, a Strasburgo, ha dichiarato: «L’Economia circolare non è solo una politica di gestione dei rifiuti ma è un modo per recuperare materie prime e non premere sulle risorse già scarse del nostro pianeta». Già tre anni fa i 2,5 miliardi di tonnellate di rifiuti prodotti dalla Ue sono finiti nel mirino della Commissione: il progetto è di avviare una strategia offensiva che prolunghi il ciclo di vita dei prodotti, riducendo così al minimo i rifiuti.

L’innalzamento dei target di riciclaggio dei rifiuti urbani e da imballaggio, l’inserimento di un limite di conferimento massimo in discarica pari al 10%, l’estensione degli obblighi di raccolta separata ai rifiuti organici, tessili e domestici pericolosi sono le principali novità di questo pacchetto che sancisce un cambio di passo e di visione che avrà ricadute concrete. «A partire - spiega Bonafè - dai 600 miliardi di risparmi annui per le aziende, ai 140mila posti di lavoro in più, ai 617 milioni di tonnellate di Co2 in meno entro il 2035, a bollette sui rifiuti più leggere. Questo significa - prosegue Bonafè - ridurre la pressione sul nostro pianeta per l’utilizzo delle materie prime e passare da un modello economico lineare a un modello in cui la crescita diventa sostenibile».

Le imprese sono pronte? «Alcune certamente sì e potrebbero generare un effetto traino sulle altre». Antonello Ciotti, presidente di Corepla, il Consorzio per la raccolta, il riciclo e recupero degli imballaggi di plastica, dichiara al Sole 24 Ore che «alcuni big, Coca Cola, Nestlé, Danone, Ferrero, sono già molto avanti, con obiettivi ambiziosi di riduzione della plastica e faranno da traino alle imprese più piccole».

È presto per dirlo: i cambi culturali richiedono sempre tempi lunghi. Eppure è sempre più alto il numero di economisti e di semplici cittadini che dubitano del concetto tradizionale di crescita, nato con la Rivoluzione industriale. Acrescita (Einaudi), libro scritto dall’economista Mauro Gallegati, «rileva come la cassetta degli attrezzi degli economisti sia da ripensare. L’identificazione tra crescita del Pil e benessere conduce solo al collasso. Non è in questione il “se”, ma il “quando”.

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