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Le nuove forme del lavoro? Faticoso immaginarle oggi

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LETTERE

Le nuove forme del lavoro? Faticoso immaginarle oggi

Caro De Biase,

forse mai come oggi la mancanza di lavoro significa, per milioni di italiani, mancanza di libertà. L’Italia è, tra i Paesi occidentali, quello che più fatica a uscire dalla crisi. In parte per demeriti della classe politica, in parte per l’enorme debito pubblico. Ma il demerito principale è non aver capito che siamo nel mezzo di una rivoluzione che sta cambiando la natura del lavoro. Il sistema produttivo fatto di Pmi, basato su prodotti con poca innovazione e su molta evasione fiscale non esiste più. Siamo nell’epoca dei robot, dell’intelligenza artificiale, del machine learning e dei big data. Con questa realtà si deve confrontare il mondo del lavoro ma soprattutto quello della formazione secondaria e terziaria, Università in primis, cui è affidata la responsabilità di fornire gli strumenti per affrontare le sfide. Ogni fase di cambiamento in cui la tecnologia forniva nuovi sistemi di automazione è stata accompagnata dalla preoccupazione per la possibile perdita di occupazione. È successo a fine 1700, a inizio 1800. Si è ripetuto nel 1964 con il documento “The triple revolution”, inviato al presidente Usa Lyndon Johnson da alcuni economisti e sociologi. Ma ci sono due elementi di preoccupazione. Il primo è legato alla relazione tra compenso (ai lavoratori) e produttività. Dal 1945 fino agli anni 70, compenso e produttività sono cresciuti in modo parallelo. All’aumentare della produttività cresceva il compenso dei lavoratori. Dagli anni 70 a oggi le due linee si sono divaricate e i compensi non sono più cresciuti mentre la produttività è più che raddoppiata. Se per un certo tempo la tecnologia “aiutava” gli operai ad aumentare la loro produttività, da un certo momento in poi le macchine non hanno più avuto bisogno del controllo umano e, per la gran parte dei processi, sono state capaci di procedere in completa autonomia. Il secondo elemento di preoccupazione è la rapidità di evoluzione dell’intelligenza artificiale. Se nel passato (recente) le automazioni avevano comunque bisogno dell’uomo, oggi le macchine sono in grado di “imparare” da sole attraverso i processi di machine learning. Un processo cognitivo simile a quello umano che si fonda sull’esperienza, cioè su un processo di tentativi ed errori da cui «apprendere» la soluzione. Con due differenze rispetto alle nostra capacità cognitiva: una potenza di calcolo infinitamente maggiore e la possibilità di accedere alla rete, «memoria collettiva» infinita da cui trarre insegnamenti ed esperienze. Ci vorrà sempre qualcuno che operi in questo nuovo mondo dominato dalle macchine e dalla rete. Ma sarà sempre una frazione molto piccola del mondo del lavoro come lo abbiamo conosciuto fino a oggi.

Tomaso Patarnello

Università di Padova

Caro Patarnello,

il problema posto è centrale: è realistica la possibilità che il lavoro sia meno fondamentale in futuro per la vita civile? Alcune proiezioni della tecnologia lo fanno pensare. Ma può succedere anche che la definizione di lavoro cambi. E che quello che gli umani faranno in futuro sia comunque lavoro, in una forma che oggi fatichiamo a immaginare. Anche questo è già successo in passato.

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