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Deficit, numeri di partenza e precondizioni del negoziato Ue

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l’analisi

Deficit, numeri di partenza e precondizioni del negoziato Ue

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Più crescita e nuova flessibilità Ue, per provare a blindare i conti pubblici da qui alla legge di Bilancio. È la strada, per molti versi obbligata, che il governo si accinge a intraprendere tenendo conto tuttavia del probabile no di Bruxelles a rimettere in campo le clausole per riforme, investimenti ed eventi eccezionali. Ne abbiamo già fruito per 30 miliardi dal 2015 al 2108 e le regole europee prevedono che per i paesi inseriti nel cosiddetto braccio preventivo del Patto di stabilità (e dunque fuori da procedure di infrazione per disavanzo eccessivo) le clausole possano essere riattivate solo una volta raggiunto il pareggio di bilancio in termini strutturali.

Si potrebbero aprire tuttavia spazi “politici” da contrattare con Bruxelles su due fronti: il sostanziale “congelamento” in autunno della richiesta di correzione del deficit 2018 per lo 0,3% del Pil (circa 5 miliardi), e uno “sconto” pari allo 0,4-0,5% del Pil sul deficit 2019. Obiettivo, in linea con quanto deciso dai governi Renzi e Gentiloni, neutralizzare almeno in parte con il ricorso al deficit le clausole Iva (che pesano per 12,4 miliardi), onorando l’impegno ribadito due giorni fa dal vice premier Luigi Di Maio. In tal modo, il nuovo target programmatico passerebbe nei dintorni dell’1,3% del Pil, contro lo 0,8% previsto a politiche invariate. Sul punto specifico, è atteso prima di tutto un chiarimento all’interno del governo, poiché Matteo Salvini spinge per ottenere maggiore flessibilità, mentre Di Maio pare attestato in questo momento su una posizione più prudente ma comunque più alta della base negoziale Ue.

Perché la trattativa decolli andranno in tutti i casi garantite alcune non trascurabili precondizioni.

La prima, strettamente connessa al tema della crescita e dell’incremento del Pil potenziale, è che il percorso di riforme strutturali avviato negli ultimi anni non si arresti. La seconda è che la riduzione del debito prosegua quanto meno nel percorso tracciato dal Def (dal 130,8% di quest’anno al 122% del 2021). L’invito, contenuto nelle ultime raccomandazioni rivolte dalla Commissione Ue al nostro paese è che le entrate straordinarie vadano interamente a ridurre il rapporto debito/Pil, e che il tasso di crescita nominale della spesa pubblica al netto degli interessi non superi lo 0,1% nel 2019, corrispondente a un aggiustamento strutturale annuo dello 0,6% del Pil. Anche su questo punto la trattativa è aperta e già in occasione dei prossimi appuntamenti dell’Eurogruppo/Ecofin fissati il 21 e 22 giugno, il neo ministro dell’Economia, Giovanni Tria proverà a sondare il terreno prima di tutto con il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici.

Sulla carta, aperture “politiche” nei confronti del nuovo governo sono possibili, se al tavolo della trattativa ci si presenterà con solide argomentazioni. Ma non sarà facile spuntare l’ulteriore, eventuale slittamento del pareggio di bilancio al 2021. E poi, prima di tutto, occorrerà verificare day by day la reazione dei mercati che attendono appunto il governo alla prova delle coperture, in vista del possibile decreto di mezza estate e della legge di Bilancio di metà ottobre. La riforma delle pensioni non va smontata – avverte Bruxelles – e quindi cautela nell’annunciato “superamento” della legge Fornero.

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