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Eurozona da riformare. Quale ruolo per l’Italia

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tensioni in europa

Eurozona da riformare. Quale ruolo per l’Italia

La riforma dell’Eurozona è una strada in salita. Dai Paesi del nord emergono poche disponibilità a rivederne la governance. L’intervista che Angela Merkel ha rilasciato il 3 giugno scorso alla Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung (Fas) conferma tale predisposizione conservativa. È possibile raddrizzare la strada della riforma? Per rispondere, bisogna capire dove risiedono i problemi dell’Eurozona. Cercherò di discuterli seguendo un filo logico.

Primo. L’Eurozona nasce sia per ragioni politiche (in risposta alla unificazione tedesca) che per ragioni economiche (costruire un blocco monetario in grado di affrontare le sfide di altre monete continentali). La creazione di una moneta comune è stata una necessità per proteggere l’Europa (e il suo mercato singolo) e non per indebolirla. Tuttavia quella moneta è stata inserita in una imperfetta governance politica. Nella conferenza intergovernativa che portò al Trattato di Maastricht si realizzò un compromesso tra la Germania e la Francia. La prima acconsentì a rinunciare al proprio Deutsche mark a condizione che la nuova moneta (l’euro) fosse gestita da una Banca centrale europea indipendente dai governi nazionali. La seconda impose che la politica economica e fiscale, collegata alla politica monetaria, rimanesse invece nelle mani dei governi nazionali (coordinati all’interno dell’Eurogruppo). Quel compromesso ha dato quindi vita a un’Eurozona con una moneta singola (e una singola Banca centrale) gestita però da 19 (oggi) governi nazionali. Con l’arrivo della crisi finanziaria, il compromesso non ha più retto.

Secondo. All’incongruenza di una simile governance, subito dopo Maastricht, si è cercato di porre rimedio attraverso un Patto di stabilità e crescita che vincolasse i governi nazionali a operare all’interno di parametri macro-economici definiti ex-ante. La logica legalistica del Patto si è ulteriormente rafforzata durante la crisi finanziaria dell’attuale decennio, rendendo sempre più centralizzato e de-politicizzato il sistema regolativo delle politiche nazionali. Seppure sottoscritto da tutti gli stati membri dell’Eurozona, tale sistema si è rivelato congeniale con le strutture economiche dei Paesi del nord piuttosto che del sud. Con il risultato che la crisi ha finito per produrre effetti asimmetrici tra di essi, colpendo i secondi piuttosto che i primi. Ciò ha messo in discussione l’esistenza dell’Eurozona nel sud (nell’inconsapevolezza del nord).

Terzo. L’intervista del cancelliere Merkel alla Fas è un esempio di tale inconsapevolezza.

Dietro la buona educazione con cui si rivolge ai suoi partner, il cancelliere fa poche concessioni alle richieste della Francia di Emmanuel Macron di avviare la riforma dell’Eurozona. In particolare, di dotarla di un suo budget, derivato da una fiscalità autonoma, gestito democraticamente da uno specifico parlamento. Un budget da utilizzare quindi in funzione anti-ciclica o per sostenere Paesi soggetti a shocks asimmetrici. Si possono discutere le proposte istituzionali del presidente francese, tuttavia occorre riconoscere la logica politica che le sostiene.

La Francia intergovernativa di Maastricht vuole ora separare l’Eurozona dalla dipendenza dalle risorse finanziarie e politiche dei governi nazionali. Mentre la Germania comunitaria di Maastricht vuole invece preservare la logica intergovernativa. Tant’è che Merkel non discute la prospettiva di Macron, avanzando invece proposte che confermano la logica intergovernativa (che è alle origini della crisi esistenziale dell’Eurozona).

Quarto. Non è la Germania in quanto tale o i Paesi del nord che dominano l’Eurozona, ma è la logica intergovernativa di quest’ultima che favorisce i loro interessi. Ecco perché Merkel non vuole riformare quella logica. Riconosce, ad esempio, le difficoltà finanziarie di Paesi come il nostro, ma propone tuttavia di affrontarle attraverso un Fondo monetario europeo (Fme), erede dell’attuale Fondo salva-stati, che continua a funzionare su una base intergovernativa. Peraltro, tale Fme dovrebbe verificare, insieme alla Commissione, il rispetto, da parte degli stati che ricevono gli aiuti finanziari, delle condizioni sottoscritte per riceverli. In questo modo, Merkel propone di ridimensionare il ruolo della stessa Commissione europea che, negli ultimi anni, ha cercato di aprirsi a considerazioni politiche e non solo legali. È evidente che l’approccio tedesco è destinato a confliggere con le posizioni francesi.

Ed è evidente che sarebbe nostro interesse non lasciare la Francia isolata. Possiamo farlo? Mi fermo qui.

La logica mi ha portato ad argomentare che il problema dell’Eurozona è politico prima ancora che economico. Per questo motivo sarebbe necessario superare il paralizzante scontro ideologico, in corso in Italia, tra chi è contro l’Eurozona per principio e chi la difende comunque. Non è ragionevole sostenere che fuori dall’Eurozona si starebbe meglio. La sovranità monetaria (al pari di altre componenti della sovranità) ha una natura sia formale che sostanziale. Recuperare la sovranità formale non significa riacquistare anche la sovranità sostanziale. Si può ritornare alla lira (sovranità formale) e poi dipendere dalle politiche monetarie di altri Paesi o blocchi o mercati (che quindi svuotano quella sovranità). Ma non è plausibile sostenere neppure che la governance della sovranità condivisa dell’Eurozona risponde ai nostri interessi sostanziali. Questi ultimi richiedono una governance politica della moneta singola, separando il livello sovranazionale da quello nazionale. Dopo tutto, nel campo per lei cruciale della politica migratoria, la Germania ha dovuto prendere atto che la logica intergovernativa peggiora i problemi piuttosto che risolverli. Nella stessa intervista alla Fas, Merkel è giunta a sostenere che il controllo delle frontiere dell’area Schengen, finora gestito attraverso il coordinamento intergovernativo, dovrebbe essere invece affidato ad una polizia europea “con il diritto di agire indipendentemente” dalla volontà dei singoli governi nazionali. Ecco, anche l’Eurozona dovrebbe giungere a dotarsi di un governo europeo con il potere (democratico) di agire indipendentemente dagli interessi dei singoli governi nazionali. L’Italia non dovrebbe discutere di un Piano B per uscire dall’Eurozona ma di un Piano A per riformarla.

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