Qualunque ipotesi di evoluzione verso la flat tax vedrà gli oneri deducibili o detraibili come vittima sacrificale: alcuni saranno cancellati per tutti, altri saranno disponibili solo sino a un determinato livello di reddito, come avviene per la detrazione dei familiari a carico.Da anni una commissione di studio riferisce al Parlamento sull'entità della “spesa fiscale” conseguente sia a queste riduzioni dell'imponibile o dell'imposta, sia alle agevolazioni di ogni genere, dai tributi indiretti alle accise. L'ultimo rapporto è dello scorso mese di ottobre, e classifica gli oneri in funzione della loro finalità: istruzione, sanità, famiglia, alloggio, previdenza.
Ma per metter mano all’attuale regime non basta ponderare gli obiettivi di politica economica sottesi al singolo provvedimento, in quanto è indispensabile distinguere gli oneri che sono vere e proprie agevolazioni – destinate a chi li sostiene o a beneficiari terzi, come le Onlus – e quelli che sono stati previsti dalla normativa fiscale per non incorrere nel divieto di doppia tassazione.
È stato emblematico nel tempo il regime fiscale della previdenza complementare: dopo l’assurda normativa del Dlgs 124/93, che ebbe come inevitabile conseguenza il blocco delle contribuzioni ai fondi pensione, il sistema attuale rispetta il principio di correlazione, cioè evita la doppia tassazione nel tempo. Infatti la parte di contributo alla previdenza complementare non dedotto in quanto eccedente il massimale viene accantonato dal fondo in un conto separato, che non sarà più tassato al momento di erogare la prestazione.
Così come la deducibilità illimitata dei contributi volontari ai sistemi di previdenza obbligatoria si giustifica nel fatto che questi soggetti gestori non possono isolare il regime fiscale conseguente alla deduzione o meno dei contributi (che in passato è stata per molti anni plafonata al pari dei premi assicurativi). In altri termini, dovendo tassare l’intera prestazione pensionistica è indispensabile che tutti i contributi siano deducibili. Queste regole sono declinate come “principio di correlazione”: altro non è che un divieto di doppia tassazione nel tempo a carico dello stesso soggetto.
Ma abbiamo anche casi in cui il divieto di doppia imposizione deve essere rispettato nei confronti di due soggetti diversi nel medesimo periodo di imposta. Anche in questo caso la vecchia normativa non era adeguata, ma ora la deduzione dal reddito dell’assegno al coniuge separato o divorziato si giustifica con l’imponibilità di tale importo nella determinazione del reddito di chi lo percepisce.
In questo contesto opera anche il divieto di doppia deduzione o doppia detrazione: le spese sanitarie rimborsate dalle casse assistenziali non possono essere dedotte da chi già “scarica” il relativo contributo. E se per molti anni qualcuno faceva il furbo fotocopiando la ricevuta della spesa sanitaria prima di mandarla al fondo sanitario, evitando di prendere in considerazione soltanto l’importo rimasto a suo carico, da tre anni a questa parte le casse comunicano in via telematica all’Agenzia delle entrate i rimborsi eseguiti a favore degli assistiti, consentendo così di verificare che l’onere detratto sia solo quello che ha effettivamente colpito la capacità contributiva dell'assistito.
Questi sono i casi in cui risulta più evidente il divieto di doppia imposizione, principio di rango costituzionale, che qualunque riforma degli oneri non può trascurare.
Non dimenticando infine che la progressiva estensione delle “cedolari secche”, relative a redditi percepiti da chi si trova in no tax area (ad esempio pensionati al minimo o dipendenti con basse retribuzioni), già determina un effetto di cancellazione di tutti gli oneri: se non c’è nulla da dichiarare non c’è nulla nemmeno da dedurre o detrarre.
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