«Un giorno in cui riceveva degli ospiti eruditi, Rabbi Mendel di Kozk li stupì chiedendo loro a bruciapelo: ”Dove abita Dio?”. Quelli risero di lui. “Ma che vi prende? Il mondo non è forse pieno della sua gloria?”. Ma il Rabbi diede lui la risposta alla domanda: “Dio abita dove lo si lascia entrare”.
Ecco ciò che conta in ultima analisi: lasciar entrare Dio. Ma lo si può lasciar entrare solo là dove ci si trova e dove ci si trova realmente, dove si vive e dove si vive una vita autentica. Se instauriamo un rapporto santo con il piccolo mondo che ci è affidato… allora lasciamo entrare Dio» (M. Buber, Il cammino dell’uomo).
A volte la realtà ci sembra troppo piccola e banale, altre volte troppo insignificante la vita di tutti i giorni: solite persone, soliti problemi, solite difficoltà. Eppure è proprio questo il «piccolo mondo che ci è affidato» del quale dobbiamo aver cura, in cui dobbiamo accendere un brivido di vita vera. Inutile e fuorviante cercare altrove: quella è la porta attraverso la quale dobbiamo far passare l’infinito con i suoi sogni e le sue speranze. Anche se a volte ci sembra difficile.
Rendere sacri i piccoli luoghi che abitiamo non significa costruirci intorno altarini o cappelle votive. Renderli sacri vuol dire semplicemente scaldarli con una scintilla di amore e di passione vera. Questo ci è sempre possibile. Sempre e con chiunque. Soprattutto con chi ha pochi o nessun motivo per amare la vita.
La casa è il luogo della vita “vera”. È il luogo del disordine o dell’ordine maniacale, il luogo dove si mettono a nudo i nostri bisogni: lì arrivano i giorni delle lacrime e tornano i figli prodighi, lì si racchiudono l’ansia e il desiderio delle nostre speranze.
La nostra banale e monotona vita quotidiana, tormentata dalle preoccupazioni e inaridita dalla percezione dei nostri limiti, è alla continua e strenua ricerca di senso: eppure nel piccolo cerchio di mura della nostra casa, nei mille frammenti delle nostre giornate, nel groviglio delle nostre relazioni, è lì che si nasconde il senso pieno della nostra esistenza.
Nel cuore della vita di tutti i giorni, proprio là dove l’uomo vive e spera e dove scorre il suo tempo, proprio là possiamo intuire una presenza di luce, e là ci sentiamo mendicanti.
Ciò che cerchiamo non è distante come un paradiso vago e lontano, ma ci è accanto, abita in noi, è parte del nostro quotidiano: basta solo un po’ di attenzione, un po’ di passione, quel minimo di capacità di ascolto che raggiunge la fecondità di un gesto, di un dono, di un piccolo amore. A volte la verità delle cose essenziali ci è tanto vicina da diventare per noi quasi invisibile, e ci sfugge.
Un tempo Rilke scrisse: «Se la tua giornata ti sembra povera, non la accusare; accusa te stesso, che non sei abbastanza poeta da evocarne le ricchezze», come dire che siamo noi a rendere povero e meschino un tempo o un luogo se siamo senza fantasia, senza sussulti, senza capacità di lasciarci sorprendere.
La tenerezza di Dio si intreccia nei fili della nostra trama quotidiana: il suo Regno si nasconde nel granello di senape, nel pizzico di lievito, nel minuscolo seme. Roba, insomma, di tutti i giorni.
Una conferma al racconto chassidico di Buber l’ho trovata in un detto di Eraclito riferito da Aristotele, ma riportato anche da M. Heidegger. Alcuni stranieri desideravano incontrare l’autore di Le Storie. Avvicinandosi, furono sorpresi dal vederlo mentre si riscaldava a un forno. Leggendo nei volti dei suoi visitatori la curiosità delusa, Erodoto fa loro coraggio e li invita espressamente ad entrare, con queste parole: ειναι γαρ και ενταυθα θεους («Gli dei sono presenti anche qui»).
Sono parole che pongono in un’altra luce il soggiorno del pensatore e il gesto semplice del suo riscaldarsi al fuoco del camino. Il racconto non dice se i visitatori abbiano capito subito queste parole. È evidente però il messaggio che Erodoto intende trasmettere: «Anche qui – presso il camino, dove ogni cosa e ogni pensare è familiare – persino qui … gli dei sono presenti». E in un altro frammento (fr 119), lo stesso Eraclito afferma: Ηθος ανθρωπω δαιµων, «Il soggiorno (solito) è per l’uomo l’ambito aperto per il presentarsi del dio (dell’in-solito)».
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