Con quanta fretta trascorriamo le nostre giornate e… roviniamo le nostre relazioni. Una fretta che spesso ci fa perdere anche il gusto della fedeltà alle aspirazioni, ai sogni, alle persone, alle promesse. Forse perché la fedeltà è uno stato d’animo, un desiderio confuso ma anche nitido di tendere a qualcosa che ha bisogno di essere coltivato, che non esclude la fatica o la pena, ma la riempie. Così è possibile essere fedeli anche nelle esitazioni e nelle perplessità, quando ci sentiamo inadeguati e distanti. Forse perché fedeltà non vuol dire avere delle sicurezze, ma solo andare un po’ più lontano, aprendo il cuore al futuro.
Sì, credo proprio che non siamo soli nel nostro sforzo per essere fedeli. Credo che tutto l’universo attenda fedelmente la sua compiutezza (Rm 8,19), non considerandosi mai finito o esaurito; come una madre, che non pensa di aver concluso il suo compito una volta che il figlio è venuto alla luce. Mi piace pensare che anche Dio attende.
E, pensandoci bene, mi sembra di capire che è tutto un problema di amore. È un problema di passione perché, quando si ama si è spontaneamente fedeli, non si pensa a tradire, non sfiora neanche l’idea. Il progetto al quale ci siamo votati infatti ci sembra l’unico, il solo. Nessun altro gli assomiglia, a nessun altro può essere paragonato. Tutta la bellezza e la realizzazione che desideriamo sta lì. Nel progetto di vita scelto.
Ma noi a quale ideale, valore, sogno, aspirazione che reclama tutto il nostro amore vogliamo essere fedeli?
È questa la domanda bruciante della nostra vita, quella che ci preme dentro nella nostra inquietudine, quella che ci fa sentire insoddisfatti nel nostro benessere e anche quella che ci dà il senso, la forza, il coraggio e la pazienza di non sentirci umiliati nel nostro insistente cercare.
Così, stento a essere fedele quando non amo abbastanza e mi stanco di aspettare e mi distraggo con gli accecanti richiami dei falsi bisogni. La fedeltà è un po’ come gettare l’ancora per non naufragare e andare alla deriva e per restare legati a ciò che amiamo. Solitamente l’ancora si getta nelle profondità, ma chi è fedele le fa fare un viaggio all’inverso, lanciandola e proiettandola verso l’alto. Perché la terra non ci basta: abbiamo bisogno di aria, di vento, di cielo e di stelle per rimanere uniti a quella luce e a quell’amore nel quale teniamo fisso lo sguardo.
Coltivare questa fedeltà ci permette di non tenere separati il sogno e la vita. Non ce li fa distinguere l’uno dall’altro; ma a un certo momento il sogno viene a innestarsi nella vita, e la trasforma. Proprio come si fa con le piante, quando si innesta una specie più pregiata su una meno pregiata: vita su vita. E la si lega delicatamente, per non strozzarla questa vita che ormai è diventata unica, per permettere alla linfa di scorrere e di nutrirla. Così, forse domani avrò una pianta più bella.
Dove possiamo attingere quella linfa che ci permetterà di crescere più forti? Come trovare il coraggio per rinunciare alla smania di certezze e abbandonarci alla fragilità di un “forse”? Bisogna essere giovani per poter sognare, bisogna cioè avere quella speranza nel domani che viene dalla freschezza e dal gusto dell’avventura, bisogna possedere l’audacia di chi rischia, la spensieratezza di chi non calcola e la follia di chi coltiva le proprie passioni.
Sognare non è perdersi con l’occhio smarrito dietro le velleità del momento. Sognare è vedere quel che ancora non c’è, è sentire che quella cosa che è il nostro sogno possiamo realizzarla, dedicandole tutte le nostre energie, tutta la nostra vita, perché è diventata la nostra vita. Accrescendola, dandole un nuovo senso, un nuovo profumo.
I sogni non si tengono nel cassetto, non si isolano per tirarli fuori solo quando siamo in vena di essere un po’ romantici o ammalati di rimpianto: quelli evidentemente non sono sogni, ma tristi e banali fughe dalla realtà. Il sogno ha invece la forza della vita, ha il sapore del “non ancora” che si compie anche grazie al nostro contributo. Come quello – e questo è l’ultimo – che ho offerto finora ai lettori del Sole 24 Ore con le mie “Testimonianze di confini” ma che continuerò a offrire su la Domenica attraverso la rubrica “Abitare le parole”.
(Nunzio Galantino, vescovo emerito di Cassano all’Jonio, segretario generale della Cei dal dicembre 2013, è appena stato nominato da papa Francesco presidente dell’organismo di gestione economica che si occupa dell’amministrazione del patrimonio della Santa Sede. A monsignor Galantino i nostri migliori auguri per il suo nuovo incarico)
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