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La sentenza di Cassazione sul divorzio: uno strumento perequativo

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l’analisi

La sentenza di Cassazione sul divorzio: uno strumento perequativo

Quali saranno le conseguenze dopo la pronuncia delle Sezioni Unite, in pratica, cosa cambia ? Questa, sostanzialmente, la domanda che si pongono sia le tanti parti, coinvolte in un giudizio di divorzio, che i loro legali. La risposta la si può trarre dai principi già affermati nelle numerose sentenze emesse, in questi mesi, dalla Prima sezione della Cassazione che, dopo il deposito della famosa sentenza Grilli, non ha smesso di affinare la propria opera di interpretazione, così anticipando di fatto quanto affermato nelle 38 pagine della sentenza n. 18287 delle Sezioni unite emessa il 10 aprile e poi depositata l'11 luglio 2018 in Cancelleria.

In buona sostanza le Sezioni Unite hanno concordato con il nuovo corso della Prima Sezione - nel senso di confermare il superamento del concetto del “tenore di vita” - come criterio principe per il riconoscimento dell'assegno divorzile. Formulando poi una integrazione importantissima in ordine alla specifica del “criterio di riferimento” da tener presente nel giudizio per il riconoscimento e per la determinazione dell'assegno divorzile. Ricordiamo infatti come con la sentenza 11504/17 (Lamorgese sul caso Grilli) avesse individuato nell'autosufficienza del richiedente il punto di caduta della pretesa dell'assegno divorzile: in buona sostanza laddove il richiedente fosse autosufficiente non poteva trovare ingresso la richiesta di un contributo in capo all'altro coniuge. Applicando, come principio di raffronto, quello in essere per la determinazione dell'autonomia (e quindi dell'autosufficienza) dei figli maggiorenni, raggiunta la quale, cessa il diritto degli stessi ad essere mantenuti. In merito le Sezioni Unite hanno ritenuto inapplicabile tale richiamo, sia per la peculiarità del rapporto filiale rispetto a quello coniugale, sia perché è, ovviamente, diverso l'onere dell'autonomia che grava sulle spalle di ogni figlio, rispetto a quello che si può riferire a un ex coniuge. Nel superare questo criterio così si esprime, in un passaggio essenziale, la sentenza : «Il tenore di vita familiare (specie se potenziale) e l'autonomia o indipendenza economica (anche nella nuova versione dell'autosufficienza economica introdotta dalla sentenza 11504/17) sono esposti al rischio dell'astrattezza e del difetto del collegamento con l'effettività della vita matrimoniale». Ecco che diventa, quindi, centrale specificare che «il richiamo all'attualità, avvertito dalla sentenza Lamorgese, in funzione della valorizzazione dell'autoresponsabilità di ciascuno degli ex coniugi, deve pertanto dirigersi vero la preminenza della funzione equilibratrice-perequativa, dell'assegno di divorzio».

Più semplicemente, «l'accertamento del giudice non è conseguenza di un’inesistente ultrattività dell'unione matrimoniale» ma è conseguenza della norma regolatrice del diritto all'assegno che «conferisce rilievo alle scelte ed ai ruoli sulla base dei quali si è impostata la relazione coniugale e la vita familiare». Di conseguenza, si dovrà accertare se la condizione di squilibrio economico patrimoniale sia da ricondurre, come causa-effetto, alle scelte comuni ed ai ruoli all'interno della vita familiare, tenendo presente come «la funzione equilibratrice dell'assegno non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale ma, soltanto, al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex più debole, alla realizzazione della situazione comparativa attuale».

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