In piena estate lo scenario del Mezzogiorno è quello dei giorni gioiosi vacanzieri: il turismo dà una colorazione festosa a questo Sud, alla bellezza delle sue risorse naturali e alla ricchezza delle vestigia del suo passato. Un po’ d’amarezza nasce a pensare che le Canarie, senza Magna Grecia, totalizzano almeno otto volte i turisti della nostra splendida isola siciliana. Fa più tristezza pensare che tra un mese o poco più, il Mezzogiorno riprenderà i suoi ritmi e scenari di territorio dimenticato, in perenne difficoltà, battuto dalla povertà e dalla mancanza di almeno 3 milioni di posti di lavoro per colmare il gap.
Secondo i dati anticipati ieri dalla Svimez sono 600mila le famiglie ad avere tutti i componenti (!) in cerca di lavoro.
Il ritardo meridionale rispetto al Centro-Nord si è gradualmente ampliato e differenziato territorialmente in questi anni di crisi e di ripresa mai certa. Si è dilatato a causa della debolezza di una struttura produttiva non versata all’export e per la contrazione degli investimenti e spesa pubblica per il Sud. Si è differenziato seguendo sentieri positivi di sviluppo locale in Campania, Calabria e Basilicata, mentre è rimasto nella palude in una grande regione come la Sicilia. Non bastasse, si teme per il 2019 una frenata della ripresa meridionale. Oltre la povertà (1 su 10) e la bassa occupazione femminile, l’altro detonatore che amplia il disagio meridionale è la crescita del divario generazionale con un tasso d’occupazione giovanile di poco sopra al 25% e un irragionevole invecchiamento della struttura occupazionale.
In molti emigrano dalle regioni meridionali. Tra il 2012 e il 2016, è come se fossero andati via tutti i cittadini di Palermo e dintorni. La metà giovani, un terzo laureato.
Questo scenario sociale rispecchia tradizionali difficoltà di penetrazione del mercato e dello Stato come meccanismi regolatori della società e dell’economia meridionali. Queste carenze, di frequente - e non a torto - sono state messe in relazione alla forza dei meccanismi di consenso mafiosi, se non a un’intelaiatura sociale presidiata da una mentalità familista.
Il mercato però nell’ultimo biennio - ad esempio con la crescita industriale e degli investimenti privati - ha dato impulso alla recente ripresa meridionale. Lo Stato, al contrario, ha continuato a deludere su diversi fronti: investimenti pubblici; contrazione dei servizi sanitari, scolastico-universitari, di quelli propri degli enti locali; persistente inefficienza della Pubblica amministrazione meridionale (si salva la Campania, secondo l’indice Svimez).
I dati descrittivi ci spiegano perché la protesta pentastellata è riuscita a diffondersi come un veloce contagio silenzioso, fino al clamoroso lampo del 4 marzo che ha illuminato l’intero territorio meridionale.
Non pochi hanno osservato che i meridionali s’aspettavano e aspettano il reddito di cittadinanza. È possibile che, più che gli elettori, oggi siano i collettori di voto a sperare un ritorno vantaggioso da un possibile rilancio in grande stile dei tradizionali meccanismi di consenso assistenziali-clientelari.
A stare alle previsioni, i cittadini meridionali dovrebbero immaginarsi e pretendere molto di più di un ambiguo “risarcimento” dal governo del cambiamento. Per esempio, più investimenti pubblici in infrastrutture. Se lo Stato investisse 4,5 miliardi e coprisse almeno il gap relativo agli investimenti pubblici rispetto al 2010, la ripresa al Sud nel 2019 sarebbe più che doppia. Ne beneficerebbe l’occupazione. Altrimenti ci sarà una frenata, sostiene la Svimez, mettendo il dito sulla piaga degli investimenti pubblici. Una frenata che pagherebbe l’intero Paese.
È vero che in politica tutto scivola via, quasi fosse niente quello che stai perdendo. Però sorprende che, almeno a stare al contratto di governo, non ci sia un progetto pentastellato per il Mezzogiorno, loro territorio “eletto”. Sarebbe importante sia per cercare di correggere l’assurda marginalità con cui Bruxelles - presa in questi anni dai Paesi di Visegrad - vede il suo Mezzogiorno sia per cercare di porre fine alle acrobazie dei meridionali costretti a procedere senza coordinate certe.
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