Un’altra delle linee di difesa fondamentali di uno stato democratico rischia di saltare per effetto dell’attacco da parte di qualificati esponenti del nuovo governo al presidente della Consob. Attacco motivato solo da cavilli formali che nasconde un’ansia di occupazione del potere che nessun governo aveva mai mostrato nella storia dell’Italia repubblicana. Nessun motivo sostanziale, per la semplice ma decisiva ragione che Mario Nava si è appena insediato al vertice dell’autorità.
Nava ha avuto solo il tempo di annunciare un programma serio e articolato, attento alle esigenze del mercato e capace di risollevare l’istituzione da una fase fra le meno brillanti della sua storia. Ma tutto ciò non conta e il neo-presidente sembra non meritare neppure la chance di provare a mettere in atto il suo programma. Il motivo è paradossale e degno di una commedia (nera) di Ionesco: coloro che hanno accusato la Consob di burocratismo e formalismo, si trincerano dietro la più burocratica e formale delle motivazioni: il neo-presidente ha “congelato” il suo ruolo di dirigente della Commissione europea (che aveva occupato con grande dignità e autorevolezza, ma questo ovviamente conta ancora meno) e dunque si è posto in una condizione di conflitto sufficiente per chiederne a gran voce le dimissioni. Ma con questa ulteriore, estrema concessione al populismo che vuole cambiare subito tutto e tutti, si calpestano quattro regole essenziali dello stato di diritto e del funzionamento di un’economia di mercato.
Primo: la condizione di aspettativa di funzionari pubblici è una costante della storia della Consob. È sempre successo per i tanti commissari (spesso presidenti) espressi dalla giustizia amministrativa o civile o dal mondo universitario e non si vede perché il “distacco” concesso da Bruxelles sia diverso nella sostanza e soprattutto tale da mettere in discussione l’indipendenza di giudizio del presidente.
Secondo: in tutta la vicenda, iniziata già da qualche settimana, spicca il silenzio assordante del mercato: nessuno ha appoggiato l’estemporanea uscita di alcuni esponenti di governo, forse ottimisticamente imputandola a un temporale estivo passeggero. Il mercato oggi fornisce tutte le risorse essenziali al funzionamento della Consob, che non costa un centesimo al contribuente. Come ricompensa, il mercato deve assistere al tentativo di delegittimazione della massima autorità, basato su cavilli e formalismi, cioè su argomenti che sono la negazione dei mercati efficienti come oggi vengono interpretati.
Terzo: il processo di nomina del presidente della Consob è estremamente complesso come si conviene a una carica così importante: la nomina è firmata dal presidente della Repubblica, su proposta del capo del Governo e sottoposta a verifiche dalla Corte dei conti. Usare la motivazione formale significa mettere in discussione tutte queste istituzioni e l’iter che hanno vagliato e approvato.
Quarto (e più importante): la Consob è un’autorità indipendente, con tutte le garanzie che in uno stato di diritto sono riconosciute a chi deve svolgere un compito fondamentale per un’economia di mercato, cioè garantire il buon funzionamento della Borsa e difendere i risparmiatori. Attaccando in modo così pretestuoso il vertice dell’autorità si è passato un altro Rubicone: non si tratta solo di un’offesa alla capacità di tecnici indipendenti e competenti di guidare istituzioni pubbliche di rilievo, ma di un’offesa all’indipendenza dell’istituzione in sé.
Gli ultimi anni non sono certo stati i migliori nella storia della Consob e molte critiche, fondate, sono state mosse al progressivo arroccamento su un’interpretazione strettamente formale e legalistica del suo ruolo, che è stato un fattore non secondario nell’aggravare la ricaduta delle crisi bancarie sui risparmiatori italiani. Se si rischia di ammainare anche la bandiera dell’indipendenza, non solo le sorti dell’istituzione appaiono segnate, ma viene messo severamente in discussione il rilancio del mercato finanziario privato, che dovrebbe invece rappresentare l’obiettivo primario di un vero Governo del cambiamento. Se si vuole cambiare in meglio, ovviamente.
© Riproduzione riservata