Dopo la tragedia di Genova, per il governo Conte occorre togliere la concessione ad Autostrade per quindi nazionalizzare il sistema autostradale italiano. La nazionalizzazione è conveniente. «Pensi (ha detto il ministro Toninelli) a quanti ricavi e margini tornerebbero in capo allo stato attraverso i pedaggi, da utilizzare non per elargire dividenti agli azionisti, ma per rafforzare qualità dei servizi e sicurezza delle nostre strade» (Corriere della Sera, 20 agosto). Per il ministro, gli azionisti sono da guardare con sospetto, mentre lo stato è un manager al di fuori di ogni sospetto. Un'opinione singolare se riferita a un Paese, come il nostro, dove la gestione diretta di attività economiche da parte dello Stato è stata la causa (dagli anni Sessanta agli anni Ottanta del secolo scorso) di una colossale degenerazione del sistema politico ed economico (con relativa esplosione del debito pubblico). Tuttavia, se è sorprendente la spensieratezza con cui la proposta è stata avanzata, non deve invece sorprenderci la cultura delle nazionalizzazioni che connota il nostro governo.
Vediamo perchè.Se si guarda il contesto internazionale, si vede che lo statalismo costituisce una componente necessaria del sovranismo. Le forze politiche che si sono affermate sulla base del rifiuto della interdipendenza economica, lo hanno fatto in nome del ritorno alla sovranità statale. I leader sovranisti, là dove sono andati al potere, hanno subito rivendicato un controllo diretto e personale sulle principali istituzioni economiche e finanziarie, oltre che giudiziarie e culturali, del loro Paese.
La nazionalizzazione delle principali imprese economiche e finanziarie è stata congruente con la determinazione governativa delle nomine dei membri del potere giudiziario o della presidenza della banca centrale. Il sovranismo porta con sé il controllo politico, da parte del governo, delle risorse principali di un Paese. Basti pensare alla Turchia di Erdogan o al Venezuela di Maduro oppure, all’interno dell’Unione europea (Ue), all’Ungheria di Orban o alla Polonia di Kaczyński. Attraverso il controllo politico si rafforza il partito di governo, attraverso la proprietà pubblica si costruisce consenso, distribuendo posti e risorse ai propri sostenitori. Naturalmente, ciò non è garanzia di successo. Nella Turchia di Erdogan o nel Venezuale di Maduro, quel controllo ha condotto al tracollo delle rispettive monete nazionali. Nell’Ungheria di Orban o nella Polonia di Kaczyński, il controllo sovranista ha portato quei Paesi all’isolamento (rispetto alle istituzioni comunitarie). Insomma, il consenso interno conta ma non basta.
Guardiamo ora l’Italia. Anche il nostro governo sovranista ha fatto ampio ricorso alla retorica statalista. Lo stato deve controllare Autostrade e Alitalia ma anche, se possibile, i principali servizi pubblici. Dopo tutto, i Cinque Stelle sono nati con i movimenti per i beni comuni, culminati nel referendum del 2011 sui servizi pubblici locali (che hanno portato al controllo pubblico generalizzato di quei servizi, ma anche all’indebitamento di 2/3 delle agenzie municipali incaricate di gestirli). Il governo sovranista (nonostante le promesse fatte in passato dai suoi leader) non ha cambiato le pratiche (adottate in verità anche dai precedenti governi) per il controllo delle principali istituzioni finanziarie e culturali del Paese (dalla Cassa Depositi e Prestiti alla Rai), nominando persone affidabili (per l’una o l’altra componente del governo). Lo stato deve riaffermare il suo pieno controllo della sovranità territoriale (anche al punto di sequestrare le proprie navi militari se sono rispettose del diritto internazionale piuttosto che della volontà del ministro dell’Interno). È la celebrazione del vecchio stato sovrano. Sembra che “la rivoluzione sovranista” del 4 marzo sia stata fatta per restaurare il passato piuttosto che per promuovere il futuro. È avvenuto così anche in altri Paesi. Come ha scritto Tyler Cowen (in un libro in traduzione presso la Luiss University Press), i governi sovranisti sono l’espressione politica della nostalgia del passato (quando si riteneva che l’America fosse grande, che l’Ungheria fosse cristiana, che l’Italia delle Partecipazioni Statali fosse l’approssimazione al socialismo). È vero che, all’interno del nostro governo sovranista, non mancano coloro che contrastano il ritorno allo stato-padrone, proponendo una forte de-fiscalizzazione che ne ridurrebbe il perimetro. Ma è anche vero che lo statalismo ha diversi sostenitori all’esterno del governo, nella sinistra radicale di Liberi e Eguali (e in componenti del Pd) e nella destra nazionalista di Fratelli d’Italia. Comunque sia, questo statalismo ci sta già portando in rotta di collisione con l’Europa. La quale, pensate un po’, deve sottostare ai nostri ordini per ricevere i nostri soldi (come se si trattasse di una transazione privata e non di una relazione regolata da un Trattato).
Se si vuole contrastare la deriva minacciosa del sovranismo, occorre però capirne le ragioni. Il ritorno allo statalismo riflette un’esigenza di protezione da parte di cittadini che si sono sentiti penalizzati dall’apertura economica. Per loro, lo stato è la garanzia per avere un lavoro oppure un reddito. È necessario ricordare che lo statalismo non può rispondere a quelle esigenze, ma ciò non è sufficiente. Occorre trovare risposte in avanti, e non all’indietro, per quel malessere. Creando le necessarie alleanze per riformare l’Europa, dotandola degli strumenti e delle risorse con cui promuovere politiche di solidarietà sociale. Creando una coalizione interna per riformare l’economia italiana, così da combinare le capacità innovative degli attori privati e quelle regolative degli attori pubblici. Sono necessarie politiche regolative dei mercati che includano le esigenze sociali e ambientali nei calcoli economici. È necessario che gli attori del mercato diventino consapevoli che il profitto abbisogna di una legittimazione sociale e non solo aziendale (non si può aspettare cinque giorni, come ha fatto il management di Atlantia, per rendere pubblica la propria solidarietà per la tragedia di Genova). Per contrastare lo statalismo sovranista occorre la cultura e i protagonisti di un moderno riformismo europeista.
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