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Redditi e crisi, il tempo che l’Italia non può più perdere

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DISCONTINUITÀ E SCELTE

Redditi e crisi, il tempo che l’Italia non può più perdere

Le elaborazioni che Il Sole 24 Ore ha presentato lunedì, con ampio risalto ed esaustivi grafici, sui redditi imponibili dichiarati a livello provinciale confermano ancora una volta quanto profonda sia stata la crisi che il nostro Paese vive ormai da due decenni. Ci si è crogiolati nell’illusione che l’Italia fosse diversa perché meno esposta al settore finanziario e più resiliente grazie alla manifattura.

E invece si è visto come fosse fragile e vulnerabile il modello dei primi dieci anni dopo l’ingresso nell’Unione economica e monetaria. Una lettura complementare è del resto quella fatta da Federico Seibold e chi scrive, per calcolare dove si situa il reddito degli italiani rispetto al valore che sarebbe stato raggiunto se la performance economica e sociale non avesse deviato dal trend di medio periodo. Le stime rendono tutta la drammaticità del momento: in termini di investimenti, in particolare, nel 2016 eravamo a un drammatico -35,4% – un terzo dell’accumulazione di capitale tangibile e intangibile che è andato in qualche modo in fumo.

L’indagine mostra altresì quanto lenta e complessivamente atona sia la ripresa iniziata nel 2015 grazie agli sforzi degli italiani (quantomeno di quelli che esportano e non evadono il fisco), al sostegno della politica monetaria espansiva della Bce (credibile perché condotta in regime di indipendenza) e alla congiuntura internazionale quanto mai favorevole. Sorprende, e meriterebbe un approfondimento ad hoc, constatare l’assenza di differenze sostanziali dei risultati tra provincie, malgrado altri indicatori indichino al contrario una forte divaricazione (si pensi in particolare alle rilevazioni periodici dell’export distrettuale fatte da IntesaSanpaolo). Ma restano, e anzi si aggravano, le sperequazioni tra zone ricche e zone povere di una nazione che a 157 anni non può più dirsi poi tanto giovane.

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LA CLASSIFICA
Reddito medio in euro dei Comuni capoluogo nel 2017. (Fonte: elaborazione Il Sole 24 Ore del lunedì su dati dip. Finanze e Istat)

Certo, snocciolare la litania delle cose da fare per tornare a crescere – anche al ritmo, non certo asiatico ma moltissimo più rapido, del resto dell’Eurozona – rischia di ammorbare un’opinione pubblica come quella italiana, scettica sulla saggezza delle tecnocrazie e portata a credere alle figure salvifiche.

Ma è difficile immaginare alternative al proseguire sul sentiero tracciato a partire dal 2011 e che, a dispetto di errori di copione e di rappresentazione che hanno molte spiegazioni (a seconda dei momenti, arroganza, timidezza, faciloneria, mancanza di empatia con l’elettorato), era riuscito a convincere i mercati che l’Italia era una destinazione interessante in cui investire, senza chiedere la Luna come premio di rischio.

Con l’avvicinarsi di importanti appuntamenti istituzionali e politici, l’attenzione si sposta nuovamente verso Roma, da molti percepita come l’anello debole dell’Europa.

Anche perché nello scenario globale di riferimento si addensano le nuvole, tra cui quella non indifferente del possibile impeachment di Donald Trump. Al di là delle tattiche e strategie che l’inquilino della Casa Bianca adotterà per difendersi (e il tweet della settimana scorsa su un tema apparentemente poco americano come la riforma agraria in Sudafrica suggerisce che qualsiasi strada verrà intrapresa per deflettere l’attenzione), l’incertezza crescerà nei prossimi mesi e danneggerà. Anche in Cina, dove la crescita sta rallentando sensibilmente, inducendo il governo da allentare i freni all’indebitamento.

Certamente gli elettori il 4 marzo hanno espresso in modo chiaro il loro desiderio di discontinuità, ma sembra difficile immaginare che anelassero ad abbandonare l’alveo delle democrazie liberali e dell’Europa, per tentare l’avventura dell’eterodossia post-chavista in un universo popolato di politici corrotti, oligarchi senza qualità, authorities senza merito e indipendenza, ceti medi in fuga da qualsiasi parte, pseudo-filosofici post-moderni e monete che fanno rimpiangere persino la pizza di fango del Camerun. Tempo per dare una risposta alle sfide del post-crisi, tanto plasticamente rappresentate dai dati delle Finanze, ce n’è ancora, ma sempre di meno. Serviranno nervi molto saldi.

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