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Che cosa significa allearsi con Orban

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SOVRANISMI

Che cosa significa allearsi con Orban

Da sinistra, il primo ministro ungherese Viktor Orban, con il ministro dell'Interno Matteo Salvini. (Ansa)
Da sinistra, il primo ministro ungherese Viktor Orban, con il ministro dell'Interno Matteo Salvini. (Ansa)

Prima di sposarsi è sempre consigliabile approfondire la conoscenza di chi vogliamo sposare. Ciò vale per i matrimoni tra persone ma anche per le alleanze tra Paesi. L’incontro che si è tenuto a Milano il 28 agosto scorso tra il nostro ministro dell’Interno Matteo Salvini e il primo ministro ungherese Viktor Orban ha avviato un processo di alleanza tra i governi dei due Paesi. So naturalmente che nel governo italiano non mancano voci di dissenso nei confronti del leader ungherese.

Tuttavia, dietro quelle voci non c’è una strategia alternativa. E siccome in politica (come altrove) chi “sa cosa vuole” predomina su chi sa “cosa non vuole”, allora vale la pena di approfondire la conoscenza politica dell’Ungheria di Orban. Un Paese, quest’ultimo, che è il leader del cosiddetto Gruppo di Visegrad (V4), costituito anche da Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia.

Il V4 esiste da molti anni. Sin dal 1991, quando ancora c’era la Cecoslovacchia (che si dividerà nel 1993), quei Paesi iniziarono a cooperare per prepararsi ad entrare nelle due principali istituzioni occidentali, la Nato (a cui aderirono nel 1999, ma la Slovacchia nel 2004) e l’Unione europea o Ue (in cui entrarono nel 2004). Per la fase di transizione, e per i primi anni di integrazione, l’orientamento del V4 fu generalmente positivo nei confronti della politica comunitaria. La Slovacchia, collegata alle catene produttive della Germania, aderì addirittura all’Eurozona già nel 2009. Le cose cominciarono a cambiare nel decennio successivo. Limitiamoci all’Ungheria.

Certamente, la crisi migratoria esplosa nel 2015, con l’arrivo di milioni di rifugiati siriani in Europa, fu utilizzata da Orban per radicalizzare la sua opposizione alla politica di accoglienza perseguita dalla Germania di Merkel (e sostenuta dalle istituzioni sovranazionali, come la Commissione e il Parlamento europeo). In quella crisi Orban propose una radicale strategia anti-immigrazione, in nome della difesa dell'identità cristiana del continente minacciata (secondo lui) dall'islamizzazione. Tuttavia, la natura illiberale del suo governo si era manifestata già in precedenza. Con il ritorno di Orban al governo nel 2010 (posizione che conserverà ininterrottamente per tutto il decennio), l’Ungheria ha assunto posizioni sempre più in contrasto con il sistema legale e politico dell’Ue.

La costituzione ungherese, entrata in vigore nel 2012, è stata emendata sei volte in parti fondamentali. Sono state ristrette le competenze della Corte costituzionale, in particolare nella politica di bilancio. E' stato imposto il potere del governo sulla Corte (attraverso la nomina e il pensionamento dei giudici). È stato cambiato il sistema elettorale, sovra-rappresentando le aree rurali (nazionaliste) rispetto a quelle cittadine (europeiste). È stata introdotta una legge sui media che ne hanno ridotto l’indipendenza, così come denunciato dalla Commissione per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa. È stata minacciata la libertà accademica, introducendo una legge per chiudere un’importante università privata (la European Central University) perché finanziata dalla fondazione di George Soros (un miliardario ungherese considerato il Nemico n.1 del Paese). Non solamente i diritti dei migranti, dei rifugiati e di coloro che ricercano un asilo non sono riconosciuti come dovrebbero (secondo la denuncia dell’Alto Commissariato per i rifugiati dell’Onu), ma anche i diritti delle donne oltre che delle minoranze interne sono tra i meno protetti d’Europa (secondo la denuncia della Commissione per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa).

Attraverso le campagne contro Soros (che è di origine ebrea), ha scritto Kim Lane Scheppele di Princeton, l’antisemitismo è ritornato a soffiare nel Paese. Pur essendo l’Ungheria il quarto maggiore beneficiario netto di fondi europei, Orban ha lanciato campagne ricorrenti contro l’Ue, come la consultazione del 2017 per “Fermare Bruxelles” oppure il referendum del 2016 per rifiutare la proposta di distribuzione dei rifugiati nei vari Paesi dell’Ue (tra cui l’Ungheria). Se Bruxelles va fermata, non vanno però fermati i fondi europei (che hanno consentito ad Orban di consolidare il proprio potere). Orban e il suo partito (Fidesz) hanno acquisito anche il controllo del sistema economico. In un Rapporto del 2017 del Center for European Studies di Harvard, Henning Meyer ha ricordato come Orban «abbia obbligato le imprese straniere a vendere i loro assets ad imprese pubbliche ungheresi o polacche (controllate da manager da lui nominati), introducendo una legislazione fiscale discriminatoria verso le prime e favorevole alle seconde».

Si capisce perché la Commissione europea abbia deciso di aprire una procedura d'infrazione per violazione dello stato di diritto nei confronti del governo ungherese. La stessa cosa era già avvenuta nei confronti della Polonia di Jaroslaw Kaczynski, anch’essa sottoposta a procedura d'infrazione per non rispettare la rule of law (che è una condizione per fare parte dell’Ue). Basti pensare che, pochi mesi fa, la Corte irlandese ha addirittura deciso di non consegnare alla Polonia un trafficante di droga di quel Paese (arrestato in Irlanda), perché «non sicura che venisse trattato equamente» dal relativo tribunale polacco. Come ha scritto Dan Kelemen di Rutgers, nel caso di quei due Paesi (e più in generale del V4) occorre parlare di regimi semi-autoritari piuttosto che semi-democratici.

Non è un caso che Orban si senta più in sintonia con Mosca che con Bruxelles (un sentimento condiviso dal nostro ministro dell’Interno). Dopo tutto, è lo stesso Orban che continua a sostenere (ad esempio, in un discorso del 18 giugno scorso) che «l'ordine liberale è ormai collassato». Insomma, se questa è l’Ungheria di Orban, allora vale la pena di domandarsi se vale la pena di sposarla, trasformandola nel nostro principale alleato in Europa. Per di più, su una questione per noi esistenziale come l’immigrazione, l’Ungheria di Orban è un nostro avversario irriducibile (contraria come è a rivedere gli Accordi di Dublino o a gestire collettivamente i flussi migratori). Di qui la domanda: gli elettori che hanno dato il loro sostegno ai partiti di governo il 4 marzo scorso, volevano davvero trasformare l’Italia in un’appendice meridionale di un blocco (il V4) semi-autoritario e anti-europeo, per di più avverso ai nostri interessi nazionali?

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