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La Grecia torna a sorridere, la Turchia piange

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La Grecia torna a sorridere, la Turchia piange

Dopo l'uscita dal terzo programma di aiuti è tutto un coro di apprezzamenti e lodi sperticate per la politica filo-europea e di rispetto delle indicazioni dei creditori internazionali portata avanti dal premier ellenico Alexis Tsipras, un tempo radicale oppositore della troika e dei suoi diktat, e oggi nei panni di novello “Macron dell'Egeo”.

Un sentimento di fiducia che coinvolge anche gli Stati Uniti, che nelle parole del potente segretario al Commercio, Wilbur Ross, presente alla Fiera di Salonicco come ospite d'onore, ha dimostrato tutto il sostegno economico e finanziario di Washington all'alleato greco, bastione della Nato nel settore sud-orientale del Mediterraneo.

Ma anche Bruxelles non lesina lodi al ritrovato allievo modello che ha lasciato le “cattive” amicizie di un tempo, vedi Yanis Varoufakis, l'ex ministro delle Finanze che voleva lo scontro con l'omologo tedesco Wolfang Schaeuble minacciando l'uscita dall'euro se non ci fosse stato l'abbattimento del debito. Tempi lontani.
Oggi la musica verso Atene è cambiata. La ripresa della Grecia «si fonda su basi solide», ha detto il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis, un “falco”, nel corso dell'incontro tra l'Europarlamento e il leader greco Alexis Tsipras. «Questa estate la Grecia ha voltato una nuova pagina: ha portato fino alla fine il programma di stabilità con successo, ha messo le finanze pubbliche in ordine e addirittura superato gli obiettivi di bilancio, l'economia è in crescita, quest'anno e il prossimo è previsto un aumento del Pil del 2%», ha detto l'esponente comunitario che ha osservato come dall'inizio del programma di salvataggio siano stati creati centomila nuovi posti di lavoro.

Ma se Atene ride, Ankara... piange. La Turchia, un tempo allievo modello del Fmi, a cui nel 2002 aveva pagato tutte le ultime rate dell'ennesimo prestito, ha imboccato la via dello scontro con i mercati. Il presidente Erdogan ha sfidato le aspettative degli investitori impedendo alla Banca centrale di alzare i tassi di interesse in un momento di surriscaldamento dell'economia e di inflazione al 16% ad agosto. La lira ha perso il 40% da inizio anno rispetto al dollaro e il paese rischia una crisi nel rimborso dei debiti in valuta in una fase di rialzo dei tassi della Federal Reserve. Come se non bastasse, Erdogan ha aumentato la tensione con gli Stati Uniti annunciando l'acquisto di missili russi, non liberando un pastore protestante americano accusato di spionaggio e minacciando di boicottare i prodotti elettronici americani, dopo un aumento di dazi reciproci tra i due paesi.

Un tempo il Pentagono privilegiava i turchi ai greci come bastione anti-sovietico, ma oggi sembra che le parti si siano invertite. Anche gli investitori sembrano aver preso le distanze dalla Mezzaluna sul Bosforo e dalle sue “tigri anatoliche” e ripreso a credere nelle possibilità di riscatto dei greci.
Così mentre sul Partenone sventola maestosa la bandiera europea, Ankara vede allontanarsi sempre più la possibilità di entrare nell'Unione.

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