Negli Stati Uniti gli insegnanti sono pagati talmente poco che uno su cinque ha un doppio lavoro. Le aziende della Silicon
Valley come Uber e Airbnb soddisfano e alimentano questa domanda di reddito extra. Meno ovvio, però, è perché i leader di
quel medesimo settore tecnologico sentano l'esigenza di una “fonte di reddito collaterale” per sé.
Di sicuro, non è una questione di soldi. Gli insegnanti, tutto sommato, cercano di integrare uno stipendio che può aggirarsi
sui trentamila dollari all’anno. Marc Benioff, amministratore delegato di Salesforce, guadagna quella stessa cifra in un paio di giorni, senza considerare la fetta di circa cinque miliardi di dollari che gli
spetta dall’azienda di software che ha creato e che ne incassa 115.
Il fatto, però, è che Benioff ha molte altre fonti di reddito aggiuntive. Ha appena acquistato la rivista Time per 190 milioni di dollari. Aspira a fare politica globale e locale, presiede la propaggine tecnologica del World Economic
Forum e si batte per gli homeless di San Francisco. Al tempo stesso, dirige un’azienda che dà lavoro a 33 mila persone e aumenta
il personale dipendente al ritmo del 20 per cento l'anno, il tutto consumando miliardi di dollari in varie acquisizioni e
cercando di mantenere spettacolari livelli di aumento delle vendite. Per la maggior parte dei dirigenti di tutto il mondo,
gestire quell'azienda sarebbe già un incarico logorante a tempo pieno. Eppure, l'atteggiamento odierno in ambito tecnologico
sembra essere quello di non essere disposti a farsi legare le mani.
Larry Page, amministratore delegato di Alphabet, società madre di Google, trascorre sempre più tempo nella sua isola privata ai Caraibi, ha fatto sapere Bloomberg questo
mese. Page è stato clamorosamente assente a un'udienza del Congresso, lasciando vuota in modo poco onorevole una poltrona,
e si dice che faccia di tutto per sottrarsi alle mansioni manageriali. Tra le sue attività a latere c'è la gestione di un'intera
flotta di società di automobili volanti. Insomma, sembra proprio che ritenga noioso il motore di ricerca che ha cofondato
e che ha cambiato il mondo e fatto la sua fortuna.
Non è questa l'accusa indirizzata a Elon Musk, il cui problema principale sembra essere il fatto che delega poco. Nel 2012, quando un investitore gli ha chiesto come facesse
a dirigere contemporaneamente Tesla, la casa automobilistica pioniera nel settore delle macchine elettriche, e SpaceX, i cui razzi sparano satelliti in orbita, ha spiegato: «Trascorro molto tempo sulla posta elettronica… è molto utile per
gestire le due aziende in contemporanea. Oltretutto, quando mi trovo con i miei figli e non esigono la mia attenzione, gestisco
la posta elettronica anche se sono con loro. Più o meno è così che funziona».
Quanto a me, trascorro molto tempo occupandomi della posta elettronica, soprattutto quando i miei figli avrebbero bisogno
della mia attenzione, e anche così faccio fatica a svolgere il mio lavoro. Ma c'è anche dell'altro. Musk sarà capace benissimo
– come si compiace di raccontare con falsa modestia – di dormire talvolta sul pavimento della fabbrica, ma di sicuro trova
anche il tempo per diatribe lunghe e spossanti su Twitter e stravaganti tentativi di salvare i bambini dalle spelonche.
L'amministratore delegato di Twitter, Jack Dorsey, non soltanto rende possibile ai Ceo concedersi queste distrazioni, ma è bravo a praticare egli stesso questa forma di svago:
oltre a dirigere la sua azienda di social media valutata 22 miliardi di dollari, presiede anche Square, una società di pagamenti digitali da 35 miliardi di dollari.
Questa schiera di imprenditori tecnologici, in pratica, si è sottratta al Ritalin somministrato in abbondanza a un'intera
generazione di bambini americani per contrastarne il disturbo da deficit di attenzione. Probabilmente, però, dobbiamo ritenerci
fortunati se sono così irrequieti: gli slanci dell'immaginazione sono il marchio caratteristico di questi geni creativi, che
hanno ricostruito quasi da zero il settore tecnologico dopo il crollo delle dotcom. Quando si tratta, però, di dirigere i
colossi che hanno fondato, sembrano perdere interesse.
Non è stato sempre così. Andy Grove, fondatore di Intel, amava a tal punto dirigere aziende che la sua fonte di reddito collaterale era scrivere libri sull’argomento. Non soltanto
ha rivoluzionato il mondo dei semiconduttori, ma è diventato anche padrone dell'arte della valutazione delle prestazioni.
Nella prefazione all'edizione economica del manuale di Grove del 1983 “High Output Management”, Ben Horowitz, condirettore
della società di venture capital Andreessen Horowitz, scrive che lui e la sua generazione di fondatori di aziende tecnologiche
avrebbero divorato quel libro per poi passarlo in giro. «Siamo rimasti sorpresi dal fatto che il Ceo di Intel si sia preso
la briga e il tempo di insegnarci le competenze indispensabili nel mondo dell'imprenditoria e di spiegarci come dirigere».
Grazie alle significative partecipazioni azionarie di cui godono, spesso consolidate da diritti di voto eccezionali, i Ceo
del settore tecnologico possono scegliere in che modo gestire le loro aziende: da vicino, da lontano, con le mani in pasta
sempre e ovunque. Da fuori, la loro arroganza e i loro sogni di spazio sono divertenti nel peggiore dei casi, ispiranti nel
migliore. Qualora, poi, dovessero essere assorbiti dalla loro attività nel mondo della carta stampata o decollare per un viaggio
di sola andata su Marte o non fare più ritorno dalla loro isola privata, saremmo noi a rimetterci.
Per gli investitori e i dipendenti, invece, questa attenzione a metà può essere fonte di preoccupazione: non è bello avere
la sensazione di far parte dell'attività part time che annoia il capo, e sapere che lui si procura qualche brivido in attività
collaterali che gli procurano, perdipiù, redditi aggiuntivi.
Traduzione di Anna Bissanti
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