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Tagli alla spesa sì, ma non lineari

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Tagli alla spesa sì, ma non lineari

(Agf)
(Agf)

Va bene spedire in soffitta le vecchie “clausole di salvaguardia” sull’Iva, pesante zavorra che dal 2011 incombe sui nostri conti pubblici. Aumenti automatici finora disinnescati in gran parte aumentando il deficit. La stessa strada che il governo si accinge a percorrere per neutralizzare 12,4 miliardi nel 2019 e 19,1 miliardi nel 2020. Attenzione però a maneggiare con cura l’arma dei tagli alla spesa. È la soluzione di riserva cui sta lavorando il governo qualora non vengano rispettati i target di crescita e di finanza pubblica fissati dai documenti programmatici (in primis la riduzione del debito).

Il meccanismo è in via di definizione e se ne conoscerà il dettaglio tra breve, una volta presentata in Parlamento la Nota di aggiornamento al Def e la legge di Bilancio. Se si tratta di tagli “selettivi” alla spesa, possono aprirsi spazi importanti, anche se il meccanismo di individuazione dei settori da colpire in automatico ex ante non appare proprio dei più semplici. Se al contrario si immaginano tagli automatici, lineari o semi-lineari, non sembra la strada migliore per almeno due motivi. Il primo è che la prassi dei tagli lineari, già percorsa in passato, produce certo effetti di risparmio ma al tempo stesso, agendo in modo indiscriminato su tutte le voci di spesa, comporta effetti potenzialmente recessivi al pari, se non superiori, all’aumento dell’Iva. Il secondo è che i tagli lineari finiscono per penalizzare soprattutto quei settori in cui, al contrario, occorrerebbe investire con maggiori risorse (ricerca, istruzione, innovazione).

L’altra strada è rivedere in corso d’opera la legislazione di spesa intervenendo direttamente sul timing delle misure messe in campo. Poiché il Bilancio dispiega i suoi effetti su un orizzonte triennale, si può immaginare di ridurre nel 2020-2021 il finanziamento degli interventi avviati nel 2019. A una prima valutazione, sarebbe tecnicamente fattibile, ma come agire in concreto per il reddito di cittadinanza e la revisione della legge Fornero? In entrambi i casi è predominante la variabile politica: come motivare l’entrata in vigore di quello che è il cavallo di battaglia del M5S (reddito e pensione di cittadinanza) per un solo anno, oppure con effetti decrescenti nel triennio? Arduo che Luigi Di Maio possa avallare una “clausola” di tal fatta. Si può provare a individuare all’interno dello stesso capitolo di spesa altre fonti di finanziamento, che però comporterebbero comunque un costo in termini politici e di consenso. Anche nel campo della previdenza, si dovrebbe andare a intervenire su altri “addendi”, ma in che modo? Resterebbe la soluzione di “tetti” di spesa sostanzialmente invalicabili per ogni intervento, con previsione di eventuali, graduali riduzioni degli stanziamenti fissati in bilancio distribuite nel tempo.

La clausola di garanzia sulla spesa – pare evidente – serve a rassicurare i mercati e Bruxelles. Occorre chiedersi se non sia più “rassicurante” mettere in campo una vera, incisiva e strutturale spending review che parta da un presupposto: per intervenire sui processi che alimentano la spesa cosiddetta improduttiva, più che operare tagli sul “tendenziale” previsto per l’anno successivo, occorre provare a impostare il Bilancio a inizio anno per programmi e missioni cui assegnare i relativi budget. Altrimenti non di veri tagli si tratta, ma di riduzione degli incrementi già previsti per gli anni successivi. Operazione che pare in linea con quel che lo stesso Tria aveva annunciato in Parlamento nel corso delle audizioni preliminari della scorsa estate, indicando la strada del sostanziale congelamento della spesa corrente in termini nominali al livello dell’anno precedente.

Si può fare? Dipende dalla volontà politica. Nel 2008 l’allora ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa ci provò: l’obiettivo era proprio quello di “azzerare” sostanzialmente buona parte della spesa di competenza delle amministrazioni pubbliche a inizio di esercizio finanziario, per riavviare la definizione della struttura portante del Bilancio sulla base di criteri basati su missioni e programmi ben definiti di spesa. Non se ne fece nulla. Non è andata meglio ai “commissari” che si sono cimentati in questi anni con le insidie della spesa pubblica.

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