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Impiegati, contratto ibrido per il lavoro 4.0

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Impiegati, contratto ibrido per il lavoro 4.0

Il lavoro sta cambiando molto velocemente. Se è vero che bisogna seguire le diverse tendenze dei lavori nelle diverse traiettorie della grande trasformazione penso sia opportuno riflettere sui dati di una ricerca “Impiegati e quadri verso il lavoro 4.0” appena presentata.

Questo è il nostro secondo lavoro d’inchiesta, che squarcia il vuoto trentennale di indagini sulle trasformazioni del lavoro. Siamo partiti con la ricerca sul sistema Wcm adottato in Fiat, è venuto il momento di occuparsi dei cambiamenti indotti da Industry 4.0 e più in generale dalla rivoluzione digitale nel lavoro dei “white collar”. Le ricerche favoriscono l’ascolto dei lavoratori, lavoro sempre più utile accanto allo studio e proposta contrattuale, esercizio sempre utile per rifuggire le solite chiacchiere inutili e dannose per i lavoratori. La Ricerca Fim e Aqcf coordinata da Alberto Cipriani s’intitola: “Impiegati e quadri verso il lavoro 4.0”.

Dieci le aziende coinvolte: Fca, Cnhi, Dedalus, Denso, Leonardo, Baker Higes, Fedral Mogul Powertrain, Sadi , Skf, Urmet, Vishay per un totale di 1416 lavoratori di cui il 65,7% impiegati e il 33,3% quadri.

Nella ricerca sono emersi molti aspetti importanti a partire da come la categoria “impiegato” sia molto vasta e contenga professionalità molto diverse. In generale emerge una fabbrica più avanzata del lavoro che vi si svolge e una lentezza di adattamento di norme, sistemi di inquadramento e culture organizzative. I giudizi migliori su partecipazione e lavoro arrivano dagli impiegati collegati alla produzione, è evidente che è lo spaccato della fabbrica più dentro il gorgo del cambiamento. L’aumento della responsabilità a cui non corrisponde un incremento di autonomia è una di queste distonie. Il fatto che ben il 66% non vive o vive parzialmente la dimensione realizzativa del lavoro è una grande sconfitta e al contempo un tema su cui concentrare le nostre strategie in un Paese in cui, troppo spesso, chi lavora, a qualsiasi età, fa il conto alla rovescia con la pensione. L’88% sente una sorta di “sicurezza orgoglio aziendale” come motivo per tenersi stretto quel lavoro, ma al contempo sostiene che non è ripagato professionalmente per questo sentimento identitario.

Per i lavoratori amministrativi sono stati i software gestionali a cambiare il lavoro. In particolare Sap, che per l’82,5% dei lavoratori intervistati è stata la novità degli ultimi anni. Mentre smartwatch, tablet e smartphone insieme a software specialistici sono tra le tecnologie entrate a far parte del lavoro quotidiano di impiegati e commerciali, ma anche e soprattutto di tecnici di produzione. Mentre tecnologie come l’Iot (il 30%) e la comunicazione social (50% circa) sono entrate a far parte anche del lavoro dei tecnici di produzione.

Le risposte denotano un problema che denotano sovente arretratezza culturale della gestione aziendale, da cui discende arretratezza sul piano delle relazioni industriali e a cascata su quello organizzativo. Il 56% degli intervistati esige un riconoscimento adeguato e misurabile della loro professionalità attraverso un sistema di valutazione (inquadramento) con maggiore oggettività e opportunità di crescita, insieme a un percorso formativo che li aiuti a imparare cose nuove. Quanto ai sindacati, una parte minoritaria dei questi lavoratori (il 32,7%) è iscritta, anche se 53% si rivolge loro per trovare una soluzione ai problemi che incontrano nel rapporto con l’azienda. Inevitabile allora interrogarsi sul cammino compiuto negli ultimi anni e sulla strada che abbiamo davanti. Questa ricerca conferma il percorso impostato con il contratto nazionale abbia rappresentato un primo importante tassello rispetto alla rappresentanza di un lavoro che sta cambiando: formazione, welfare, smart-working, inquadramento, professionalità, sono temi che emergono nelle richieste di impiegati e quadri.

Ma non dobbiamo dimenticare che abbiamo ancora un inquadramento professionale fermo al 1973: dopo oltre 40 anni, con il lavoro e le professionalità profondamente cambiate, è ora di cambiare. Serve quindi più coraggio per cogliere le opportunità che contratti come quelli di Fca, Cnhi, Leonardo hanno messo in campo. E serve collegare e rendere attiva la partecipazione, come abbiamo fatto in Manfrotto, con la formazione. In conclusione, il messaggio che questa analisi suggerisce mi pare evidente: il sindacato tradizionale è sempre più inutile, la semplice rivendicazione o la vecchia tutela non intercetta né mette insieme le persone. Ma soprattutto serve un sindacato che presidi, certifichi e garantisca il reskill dei lavoratori in qualità e quantità. La nostra sfida è passare dalla job protection allo skill development, come asse strategico del sindacato futuro. Bisogna scegliere: stare tra chi progetta, si fa carico della grande trasformazione del lavoro, costruisce i nuovi ecosistemi intelligenti o essere spazzati via dalla disintermediazione che il digitale porta ovunque gli si reagisce con burocrazia o opposizione.

Per centrare questi obiettivi ambiziosi anche la contrattazione deve cambiare. Perché non pensare a un “Contratto ibrido”, un contratto composto di due parti, una collettiva e solidaristica più utilizzata per il lavoro dipendente e su cui siamo più bravi e un’altra che ricomprenda aspetti del lavoro che ultimamente riguardano solo la contrattazione individuale più simile alla tutela (orari, quote di salario, etc) di un professionista incaricato di un progetto. In questo modo potremmo conseguire diversi vantaggi: maggiore flessibilità ma anche maggiore tutela, visto che troppo spesso accade che, anche per le alte professionalità, nel rapporto “individuale” con l’azienda il potere contrattuale dei lavoratori si sgretoli.

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