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Imprese: ricostruire quello che la mafia distrugge

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Imprese: ricostruire quello che la mafia distrugge

E la mafia? Una questione marginale, purtroppo, nel nostro dibattito pubblico. «La politica è distratta», sostiene il Procuratore nazionale antimafia Roberto Cafiero De Raho. E don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, legge con inquietudine i dati di un’indagine recente della sua associazione, secondo cui per il 62% delle 10mila persone intervistate, la mafia non è più un fenomeno preoccupante. Una grave sottovalutazione: «Le mafie imprenditrici - ammonisce don Ciotti - sono un problema nazionale, perché operano con passo felpato, senza destare allarme. E hanno oramai inquinato molti ambiti della vita pubblica». Mafia silenziosa, mafia sotto traccia, mafia comunque pericolosa, però. Soprattutto, in Lombardia e nelle aree di Milano metropoli e in Brianza, segnate da una forte e diffusa presenza della ’ndrangheta.

Nasce proprio da questa consapevolezza l’impegno oramai decennale dell’Assolombarda a insistere, con inchieste, convegni, report rivolti ai propri iscritti (quasi 6mila imprese, in gran parte piccole e medie) e iniziative culturali e sociali, sui temi della legalità e dell’attività concreta contro la criminalità organizzata: la mafia è un elemento di grave alterazione del mercato, danneggia le imprese sane con una concorrenza sleale, usa e diffonde corruzione, devasta i tessuti amministrativi e sociali. Il messaggio di fondo è chiaro: le mafie non sono un’agenzia di servizi da usare per risolvere un problema di capitale o di crediti da recuperare, battere un concorrente, ottenere facilmente un servizio o un appalto, ma un vero e proprio cancro. Una volta stabilito un rapporto con una cosca mafiosa o con i suoi intermediari, l’azienda è persa per sempre.

Benvenute, dunque, tutte le iniziative utili a riportare l’allarme sulla presenza mafiosa al centro del discorso pubblico e a rafforzare le iniziative di contrasto alla criminalità. Come il convegno su “Costi della criminalità e tutela delle imprese” organizzato oggi dalla Banca d’Italia nella sede milanese di via Cordusio, con magistrati, inquirenti e personalità della finanza e dell’industria. O, più in generale, come il “Documento d’intesa per la gestione e lo sviluppo dei beni e delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata”, firmato il 17 ottobre scorso al Palazzo di giustizia di Milano.

Sono tanti, quei beni, oltre 130mila tra immobili, imprese e beni di vario tipo. Non se ne conosce esattamente il valore: 25 miliardi, aveva dichiarato nel 2016 la presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi; 21,7 miliardi, aveva calcolato Il Sole 24 Ore in una cronaca del 22 giugno 2017. Dati da aggiornare e verificare. Ma comunque tali da dire che siamo di fronte a un fenomeno di rilevanti proporzioni, su cui intervenire con severità, intelligenza di gestione, lungimiranza.

Il Documento d’intesa di Milano può andare in questa direzione. I soggetti firmatari (Tribunale, Prefettura, Procura della Repubblica, Regione Lombardia, Comune di Milano, Agenzia dei beni sequestrati e confiscati, Ordini degli avvocati e dei commercialisti) e le organizzazioni aderenti (Assolombarda, Abi, Confcommercio, Unioncamere, sindacati Cgil, Cisl e Uil, Libera, associazioni del mondo cooperativo) s’impegnano a lavorare attivamente a un “Tavolo tecnico” per applicare meglio la legge sui beni sottratti alla mafia e gestire correttamente ed efficacemente immobili e aziende. Una scelta positiva di collaborazione tra istituzioni e organizzazioni sociali e di lavoro comune per evitare quel che troppo spesso succede: le aziende sequestrate e confiscate vanno in crisi e muoiono, danneggiando dipendenti, creditori, fornitori, clienti. Aziende attive, finché coinvolte nel perverso e illegale circuito mafioso. Ma poi scomparse.

Ci sono beni, invece, da restituire alla società, per fini sociali e istituzionali. Beni, forse, da vendere (con tutte le garanzie indispensabili perché non tornino ai clan mafiosi con un circuito di prestanome: una questione su cui i magistrati sono giustamente in allarme). E imprese da cercare di fare vivere, se ce ne sono le condizioni, nei circuiti dell’economia legale, affrontando con competenza tutte le questioni della gestione regolare del credito, dei contratti di lavoro, delle forniture, dei mercati. La consulenza di Assolombarda e Abi (chi scrive è il rappresentante di entrambe, al Tavolo tecnico) sulla formazione e l’impiego di manager e consulenti è, da questo punto di vista, essenziale. Bisogna evitare «il rapido processo di deterioramento delle aziende sequestrate», come dice il Documento d’intesa del Tribunale di Milano. E fare in modo di dimostrare all’opinione pubblica che la mafia distrugge mercato e lavoro mentre la legalità assicura sviluppo e maggior benessere sociale. Una grande responsabilità civile su cui le imprese riconfermano il proprio impegno.

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