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Roma-Bruxelles, raffreddare i piedi il prima possibile

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Commento |SCONTRI CON LA UE

Roma-Bruxelles, raffreddare i piedi il prima possibile

(Afp)
(Afp)

Lo scontro in corso tra il Governo italiano e la Commissione europea è senza precedenti. Tale scontro sta creando una divisione tra il nostro Paese e gli altri 18 Paesi dell’Eurozona. Esso è l’esito della strategia perseguita dal Governo italiano, il cui obiettivo è quello di mostrare l’incompatibilità del regime regolativo dell’Eurozona con le esigenze sovrane dell’elettorato italiano. Siccome quel regime non ha fatto crescere l’Italia (questa è l'accusa), allora bisogna cambiarlo (per andare dove, non lo si dice). Naturalmente, l’Italia non è cresciuta per ragioni interne oltre che per vincoli esterni. Ma ciò non interessa al Governo italiano. A quest’ultimo interessa il conflitto con la Commissione europea. Si tratta di un conflitto pericoloso, in quanto mette in luce l’irresponsabilità politica del Governo italiano, ma anche l’ambiguità istituzionale della Commissione europea. Vediamo perché.

Cominciamo dal versante italiano. Presentando un progetto di bilancio che esplicitamente disconosce le regole dell’Eurozona e gli impegni presi nel giugno e luglio scorsi, il Governo italiano ha deciso di mettere in discussione il regime regolativo che fa funzionare l’Eurozona. L’incongruenza tra una sola moneta e una pluralità di politiche di bilancio ha inevitabilmente portato alla costruzione di un sistema di regole necessarie per garantire la fiducia reciproca tra i Paesi che fanno parte dell’Eurozona. Tre regole (e il loro rispetto) sono considerate cruciali ai fini della stabilità di quest’ultima.

Il deficit nominale di bilancio degli stati membri dell’Eurozona non deve superare il 3 per cento del Pil, il loro deficit strutturale deve mirare al pareggio, il loro debito pubblico non deve superare il 60 per cento del Pil. Il compito di tali regole è di prevenire scelte, da parte di un Paese, che potrebbero avere conseguenze negative sugli altri Paesi dell’Eurozona. Tale sistema di regole costituisce anche una sorta di certificato di garanzia finanziaria per i Paesi che ne fanno parte. Ciò vale vieppiù per un Paese, come l’Italia, che ha il secondo debito pubblico (132 per cento del Pil) dell’Eurozona. Fuoriuscire dal quel sistema di regole significa dunque privarsi della copertura delle istituzioni finanziarie dell’Eurozona. Eppure è questo che vuole fare il nostro Governo che, invece di negoziare all’interno di quelle regole, mira a metterle in discussione. La sua proposta di bilancio per il 2019 non rispetta la regola del deficit strutturale, si allontana dal rispetto della regola relativa alla riduzione dello stock di debito pubblico e disconosce nei fatti la regola del deficit nominale. Quest’ultimo è previsto al 2,4 per cento, ma tale previsione deriva da una stima del tutto irrealistica sulla crescita del nostro Pil nell’anno prossimo (1,5 per cento). Se la crescita sarà più bassa, quella percentuale sarà quindi più alta. Si tratta di una strategia irresponsabile che sta già generando conseguenze negative per il Paese. Occorre che il Governo italiano si fermi, moderi la sua strategia dell’indipendenza, trovi un compromesso con la Commissione europea.

Vediamo ora il versante europeo del conflitto. È probabile che alcuni commissari abbiano usato parole sopra le righe nella critica al progetto di bilancio del Governo italiano. Tuttavia, la Commissione europea non può non far rispettare le regole che organizzano l’Eurozona. Regole (si noti) che sono state decise dai governi nazionali, non già dalla Commissione.

Negli anni Novanta, sono stati i governi nazionali a stabilire che, nel caso che uno dei essi non rispetti le regole relative al deficit nominale e al debito pubblico, sarebbe stato compito della Commissione avviare (dopo aver suonato l’allarme) la procedura d’infrazione. Anche se poi i governi nazionali hanno mantenuto nel Consiglio la decisione ultimativa (a maggioranza qualificata) sulla sanzione.

In questo decennio, sono stati sempre i governi nazionali ad introdurre misure legislative che hanno reso il ruolo della Commissione ancora più rilevante (nel caso di violazione della regola sul deficit strutturale). Essa può avviare una procedura di infrazione e stabilire una sanzione che il Consiglio dei ministri nazionali potrà neutralizzare solamente se vi è una maggioranza qualificata che è contraria (il cosiddetto reverse qualified majority voting). La sfiducia reciproca tra i governi nazionali aveva raggiunto un livello così alto che decisero di trasferire ad un organismo da loro indipendente, la Commissione in quanto istituzione “terza”, il compito di far rispettare le regole che essi stessi si erano date.

Contemporaneamente, però, la Commissione è stata investita da un processo di politicizzazione senza precedenti. Attraverso il meccanismo dello spitzenkandidat, adottato nelle elezioni del Parlamento europeo del 2014, il presidente della Commissione è divenuto l'espressione di un partito politico e la Commissione di una maggioranza parlamentare. È evidente che la terzietà richiesta alla Commissione dal funzionamento dell’Eurozona è poco o punto conciliabile con la politicità imposta dalla logica dello spitzenkandidat. Ha dunque buon gioco il Governo italiano (sovranista) a denunciare le critiche ad esso rivolte da una Commissione che esprime una maggioranza (europeista). Ma potrebbe avvenire anche l’opposto. Dunque, anche sul versante europeo, occorre risolvere l'ambiguità istituzionale di una Commissione che non può essere tecnica e politica nello stesso tempo.

Insomma, il conflitto in corso sta mettendo in luce l’irresponsabilità di Roma ma anche l’ambiguità di Bruxelles. Il Governo italiano sta portando l’attacco sovranista all’interno dell'Eurozona. Gli esiti del conflitto potrebbero essere drammatici per entrambi i contendenti (ma soprattutto per l’Italia). È necessario raffreddare i piedi prima possibile.

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