
Qualche giorno fa il profilo social del Ministero dello Sviluppo Economico retwitta un post inneggiante al condono fiscale e a quello edilizio. Non ci vuole molto, agli utenti in rete, a capire che in realtà il Ministero non aveva rilanciato un pensiero del Ministro Luigi Di Maio, ma quello di un profilo fake, di una tale “Lulgi Di Malo”. Gli sberleffi della rete e l'indignazione dell'opposizione, in questo caso non fanno altro che sottolineare una legittima e importante preoccupazione: quanto può essere vulnerabile e manipolabile un qualunque cittadino che si informa in rete, se neanche gli addetti stampa del Ministero dello Sviluppo Economico, riescono a distinguere una notizia vera da una falsa, neanche se la notizia riguarda il Ministro, loro capo?
Il tema delle fake news, della realtà alternativa, delle bufale nostrane e internazionali e della loro capacità di influenzare opinioni e convinzioni, orientamenti e voti politici è difficilmente sottovalutabile. Non solo perché la galassia degli indecisi in una competizione politica può essere facilmente spinta in una direzione invece che un'altra proprio grazie alla diffusione di notizie costruite ad arte, ma anche a causa dell'effetto che la diffusione di tali notizie ha sulla capacità dell'opinione pubblica di distinguere il vero dal falso e, di conseguenza, sulla stessa credibilità della stampa in generale. La qualità del dibattito pubblico non dipende quindi, oggi, solo più dall'autorevolezza degli organi di stampa “ufficiali”, ma sempre più dalla capacità dei lettori di distinguere l'autorevolezza delle fonti di informazione cui si rivolgono. Il tema è così importante non solo per la qualità del dibattito pubblico, ma anche per la tenuta delle nostre istituzioni democratiche a livello globale, da aver generato negli ultimi anni una vera e propria “scienza delle fake news” (Lazer et al., 2018, Science, 359) che ha provato come la diffusione dei social media, abbassando drasticamente il costo della diffusione delle notizie, abbia, contemporaneamente ridotto la tolleranza per visioni alternative del mondo, amplificato la polarizzazione delle opinioni, fatto aumentare la disponibilità a credere a notizie che sono ideologicamente affini alle nostre e allo stesso tempo la chiusura a nuove fonti di informazione. Uno degli elementi più interessanti che emerge da recenti studi e che contribuisce a rendere persuasiva una fake news, ha a che fare con il fatto che la credibilità di una singola notizia non è costante, non è, cioè, determinata dalla sua distanza dalla realtà oggettiva che descrive, ma varia al variare della sua diffusione. Gordon Pennycook e i suoi colleghi, (2018, “Exposure Increases Perceived Accuracy of Fake News”, Journal of Experimental Psychology: General 1, 999) hanno mostrato come l'esposizione a precedenti notizie false renda le persone più suscettibili a credere, in futuro, a nuove notizie, benché palesemente false. Se aggiungiamo a questo dato quello secondo cui le notizie false tendono ad essere rilanciate molto più frequentemente delle notizie affidabili, ci possiamo fare un'idea di quale sia il livello di “inquinamento informativo” nel quale navighiamo e ci formiamo le nostre opinioni e convinzioni.
Più le condividiamo, più le fake news diventano credibili. Più siamo esposti a notizie false, più diventiamo fragili e vulnerabili alla manipolazione. Neanche le azioni di debunking, cioè la documentazione, alla luce di fatti provati, dell'infondatezza della notizia, spesso risulta efficace nel far cambiare idea a chi crede a quella data notizia. Innanzitutto, perché le persone tendono a non mettere in discussione le notizie a meno che non vadano contro la loro pre-comprensione del mondo. L'effetto della critica è inoltre fortemente mitigato dal ruolo della comunità di riferimento con la quale io mi identifico e di cui sposo le convinzioni. Se anche fossi disposto ad approfondire i fatti, le notizie alle quali avrei maggiormente accesso, a causa del noto meccanismo delle echo chambers, e alle quali sarei disposto a dare maggiore peso, in virtù di quella che si chiama “esposizione selettiva”, sarebbero le notizie che collimano con le mie convinzioni pre-esistenti, quelle che confermano e rafforzano la mia visione del mondo.
A questi si aggiunge un ulteriore livello di criticità: è ormai noto che la verifica documentata della credibilità delle notizie, attività nella quale si sono impegnati, recentemente, varie piattaforme social, non ci fa cambiare idea rispetto a quella data notizia; in compenso, però, aumentando il nostro generale livello di scetticismo rispetto alle fonti di informazione, ci rende un po' meno creduloni. Purtroppo, però tale generale scetticismo, ci rende meno disposti a credere alle notizie false, ma, allo stesso tempo anche a quelle vere.
Ogni volta che condividiamo sui social una notizia dubbia, non verificata o palesemente falsa, stiamo contribuendo alla produzione di un “male comune” (l'esatto contrario di un “bene comune”). E' come se stessimo inquinando l'aria che tutti respiriamo o avvelenando i pozzi da cui tutti attingiamo l'acqua.
Serve responsabilità, intelligenza e lungimiranza e certamente un livello maggiore di attenzione e controllo da parte dei regolatori, per esempio, gli editori e l'Ordine dei Giornalisti, la cui credibilità e autorevolezza viene fortemente minata dalle dinamiche che abbiamo illustrato più sopra. Stiamo correndo il rischio di distruggere quella fiducia che rappresenta, nelle parole del Nobel per l'economia Kenneth Arrow, “il lubrificante del sistema sociale”, il cemento della nostra società, la base stessa del discorso democratico.
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