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La guerra fredda tra politici e banchieri

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La guerra fredda tra politici e banchieri

Banchieri centrali e politici litigano? Bene, perché così capiamo meglio le ragioni di entrambi. Con un limite invalicabile: da un lato i politici non devono discutere l’indipendenza delle banche centrali; dall’altro lato però i banchieri centrali devono giustificare sempre e tutto quello che fanno. Da questo punto vista, la banca centrale americana (Fed) ha tanti progressi da fare; ma anche quella europea (Bce) può fare passi in avanti.

Due giorni fa in India si è vissuto l’ennesimo capitolo della guerra fredda che banchieri centrali e politici ingaggiano oramai in (quasi) tutti i Paesi del mondo da trent’anni, se datiamo il suo simbolico inizio nel 1989 in Nuova Zelanda, quando il governo in carica, nell’interesse di lungo periodo del Paese, definì quelle regole che si sono poi sviluppate e affinate negli anni, basate su due pilastri: l’indipendenza della banca centrale dal governo in carica, e al tempo stesso i suoi obblighi di rendicontazione rispetto ai cittadini e ai suoi rappresentanti (accountability). Ancora oggi sono questi i pilastri che devono disciplinare i rapporti tra i banchieri centrali e i politici, e che possono aiutare a capire quando analisi e giudizi da una parte e dall’altra rispettano le corrette regole di ingaggio.

Da un lato, è nell’interesse di ogni Paese che la sua banca centrale sia indipendente, nel senso definito dall’analisi economica. La ragione è semplice: se il governo in carica ha il controllo della politica monetaria, esiste un rischio sistematico di bolle che alla fine intaccano i redditi e patrimoni dei cittadini. La bolla può essere inflazionistica, come è stata quella che ha falcidiato i redditi dei Paesi avanzati negli anni 70. Ma la bolla può anche essere bancaria e finanziaria: come quella causata dalla Fed - che non è una banca centrale indipendente - con la sua politica coerente agli interessi dei governi americani e delle banche negli anni 80 e 90 di far crescere il debito privato. E l’elenco potrebbe continuare. Perché ogni qualvolta c’è una elezione all’orizzonte, o interessi lobbistici da proteggere, il governo in carica può avere vantaggi dall’attivare - direttamente o indirettamente - una politica monetaria distorta. E se la politica monetaria messa in atto non è coerente con gli interessi di breve periodo del politico, ecco che parte l’attacco alla banca centrale. Perché il presidente statunitense Donald Trump attacca in queste settimane la Fed? Perché nei mesi scorsi il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il presidente venezuelano Nicolás Maduro hanno fatto di tutto per utilizzare la politica monetaria per i propri fini elettorali o propagandistici?

Ma i governanti possono criticare l’azione della banca centrale? Certo, ma solo se la condotta di politica monetaria - sia negli obiettivi che negli strumenti - non è abbastanza trasparente, sempre secondo i criteri dell’analisi economica, in modo che ne risulti evidente la coerenza con il mandato che caratterizza ciascuna banca centrale. Perché la banca centrale deve rispettare dei doveri - formali e sostanziali - di rendicontazione. L’accountability è un obbligo che le banche centrali devono assolvere, sempre però in modi e tempi che non ne pregiudichino l’indipendenza.

Per essere concreti: il presidente Trump, invece di attaccare - utilizzando per giunta parole da censurare - la Fed sul percorso dei tassi di interesse, dovrebbe chiedere alla banca centrale di esplicitare in modo chiaro e sistematico la sua funzione obiettivo: quali sono i target macroeconomici di riferimento, quali le ipotesi sui tassi di più lungo periodo in modo da individuare in modo esplicito se la condotta di politica monetaria sia neutrale, restrittiva o espansiva. Non solo: la Fed non ha mai veramente utilizzato una politica di annunzio, che la vincolasse sul futuro percorso di tassi e grandezze monetarie. E lo stesso dovrebbe fare il Congresso. Il presidente Trump dovrebbe chiedere alla Fed di essere più accountable, non di essere asservita ai suoi interessi elettorali.

E la Banca centrale europea? La sua indipendenza è stata intaccata dalla scelta fatta a Bruxelles nel 2014 di affidarle poteri nel perimetro della vigilanza bancaria. La vigilanza bancaria può essere il tallone d’Achille di una banca centrale che voglia essere sempre credibile. Perché le banche sono una formidabile tentazione per politici alla caccia di consenso, o desiderosi di proteggere le lobby bancarie. L’ultimo esempio? La polemica in corso tra il governo indiano e la sua banca centrale nasce proprio da vicende bancarie.

Quindi è necessario che la Bce si impegni di più in due direzioni: aumentare la distanza di braccio tra l’azione monetaria e quella di vigilanza; ma allo stesso tempo, aumentare l’accountability della vigilanza bancaria. Come ha ricordato lo stesso Mario Draghi nella sua ultima conferenza stampa, l’efficacia della politica monetaria dipende dalla credibilità della banca centrale, che a sua volta dipende dalla sua indipendenza. L’indipendenza non può rischiare di andare a gambe all’aria per le bucce di banana che la vigilanza bancaria, per sua stessa natura, è usa produrre.

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