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Gros-pietro: «L’europa è in ritardo occorre investire nelle reti»

(Imagoeconomica)
(Imagoeconomica)

Il presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, ha trascorso parte di questa settimana a Bruxelles per colloqui con tre vice presidenti della Commissione Ue: Mogherini, Dombrovskis e Katainen. Non si è parlato solo di Italia e di finanza, ma anche della situazione mondiale dove le tensioni politiche sono il riflesso di profonde differenze sociali e incertezze economiche.

Parlando al Sole 24 Ore alla fine del suo soggiorno bruxellese, il banchiere ha tratteggiato una sua ricetta per affrontare questa delicatissima fase economica, suggerendo tra le altre cose di orientare l’uso della tecnologia per evitare in fin dei conti di esserne vittima.

Marco Tronchetti Provera, amministratore delegato di Pirelli, si è detto convinto in una intervista a questo giornale che sia necessario un piano Marshall per l’Europa, per migliorare le infrastrutture, aiutare la domanda, promuovere la coesione europea. è d’accordo?

Approvo pienamente l’idea. Vi è in Europa un elevato ritardo infrastrutturale che riduce l’efficienza del sistema produttivo. Oggi sui mercati vi è una evidente abbondanza di liquidità. Perché non ridurla, creando ricchezza? Peraltro, le infrastrutture sono, tra le spese esogene, quelle che hanno minore contenuto di importazione perché la maggiore parte delle infrastrutture deve essere prodotta sul posto. In questo senso, il moltiplicatore delle infrastrutture è tendenzialmente maggiore della media della spesa pubblica.

Basta un programma di investimenti infrastrutturali per rispondere ai problemi mondiali?

Credo in effetti sia necessario allargare il discorso. In molti casi, la domanda globale sembra essere insufficiente a saturare la capacità produttiva che cresce rapidamente per effetto dell’automazione. Quest’ultima sta sostituendo la manodopera non solo nel settore agricolo o industriale, ma anche in quello dei colletti bianchi.

Molto spesso, in passato si è promossa nuova domanda con la guerra. C’è chi sostiene che gli Stati Uniti uscirono dalla Grande depressione solo nel 1945.

Naturalmente questa strada è da evitare. Le infrastrutture sono una parziale risposta. Ma ci sono nel mondo enormi problemi, posti anche dal cambiamento tecnologico, climatico, demografico. Per salvare questo mondo dobbiamo cambiare tutti i processi produttivi. Prima di tutto dobbiamo andare verso una economia circolare (che si rigenera da sola, ndr), quindi cambiando gli iter produttivi, le reti di distribuzione, e adottando una economia di recupero. Tutto questo implica un’enorme quantità di investimenti, tali da generare nuova domanda.

In buona sostanza, lei sostiene che dobbiamo gestire la tecnologia; è così?

Sì, direi che dobbiamo orientare la tecnologia. Per fare qualche esempio: dobbiamo produrre acqua là dove non ci sono più precipitazioni; dobbiamo passare dall’energia fossile a quella rinnovabile; dobbiamo promuovere l’economia circolare. C’è una enorme quantità di bisogni ai quali si può rispondere creando domanda nuova, che permetta a sua volta di saturare la capacità produttiva.

Di questi tempi, molti governi tentano invece la strada della restaurazione di un passato ritenuto migliore.

Non troveremo la soluzione dei problemi nel passato. Le condizioni attuali non lo consentono per via dei tanti cambiamenti, tecnologico, climatico, demografico. Mi permetto, in questo frangente di parlare di Intesa Sanpaolo. La nostra banca ha circa 1.000 miliardi di euro di risparmio degli italiani - tra depositi, risparmio amministrato, risparmio gestito - e quindi un enorme potere di orientamento. Vogliamo essere una banca d’impatto, ovvero una istituzione che svolge una attività positiva per la società. Peraltro, chi si orienta per primo ha un vantaggio competitivo. Agire sui problemi con l’obiettivo di far corrispondere domanda e offerta è anche un modo per rispondere alle gravi diseguaglianze sociali, ridando dignità e prospettive alle persone.

Quale potrebbe essere il ruolo dell’Italia in questo frangente?

Come Lei sa, ho avuto numerosi colloqui qui a Bruxelles. Tra questi anche una conversazione con il vice presidente della Commissione europea Jyrki Katainen che, tra le altre cose, ha molto insistito sul fatto che l’Italia debba valorizzare la straordinaria creatività delle persone e delle imprese italiane. Si tratta di un vantaggio competitivo nei confronti dell’umanità. Lei deve sapere che da Intesa Sanpaolo vengono numerose imprese cinesi che chiedono il nostro aiuto per iniettare per così dire qualità italiana nei consumi cinesi. Più in generale, come banca siamo impegnati nel facilitare la trasformazione di idee nuove in prodotti vendibili.

Una ultima domanda: i rapporti tra il governo Conte e la Commissione europea sono attualmente tesi, a causa della controversa Finanziaria italiana per il 2019, fuori linea rispetto al Patto di stabilità. È un tema che è emerso nei suoi colloqui?

No. I miei interlocutori hanno dimostrato notevole correttezza. Solo ogni tanto è emerso il desiderio di avere informazioni circa gli effetti sulla banca delle circostanze in cui ci troviamo. Intesa Sanpaolo è talmente solida e talmente liquida che non corre alcun rischio. Abbiamo un eccesso di liquidità strutturale rispetto al requisito di Basilea dell’ordine di 70 miliardi di euro. Ciò detto, ho avvertito preoccupazioni sull’atteggiamento del mercato rispetto al debito italiano. Nel 2019, il Paese deve emettere 400 miliardi di euro di obbligazioni. Il rischio è che il mercato possa rendere questa necessità costosa e difficile.

Come ha risposto alle preoccupazioni comunitarie?

Sono certo che chi ha la responsabilità di gestire il debito pubblico saprà evitare che questi rischi possano realizzarsi.

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