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Brexit insegna il rischio dell’autogol

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Commento|il mercato

Brexit insegna il rischio dell’autogol

EPA/ANDY RAIN
EPA/ANDY RAIN

Dopo anni di trattative sulla Brexit, l’accordo tra il Governo May e la Ue andrà al voto del Parlamento previsto per l’11 dicembre.

L’approvazione non è certa e il 23 marzo 2019 il Regno Unito potrebbe uscire dall’Unione senza sapere a quali condizioni e con quali conseguenze. La cosa sembra interessarci poco, perché le conseguenze riguarderebbero esclusivamente i britannici. Un errore perché invece dovrebbe farci riflettere sul nostro futuro.

La Brexit è figlia della paura della perdita di identità nazionale e del disagio sociale seguito alla crisi globale del 2008, visti come conseguenza di quarant’anni di apertura dell’economia e integrazione col resto del mondo. È evidente l’analogia con le ragioni dell’ascesa di Lega e M5S in Italia, di Trump negli Stati Uniti e della generale svolta “sovranista” in molti altri Paesi. Sembriamo esserci dimenticati che apertura e integrazione, nell’ambito di accordi multilaterali, hanno portato i grandi benefici della mobilità e dei migliori standard a un sempre maggior numero di Paesi.

La mobilità di beni e servizi, favorendo uno sviluppo degli scambi ha aumentato la scelta e ridotto i prezzi per i consumatori; e allargando la dimensione rilevante del mercato per i produttori, ha facilitato il raggiungimento di economie di scala. Così si è anche abbattuto il costo dei trasporti, agevolando enormemente la mobilità delle per-sone. Con la mobilità dei capitali, infine, ogni Paese ha potuto finanziare progetti di investimento senza il vincolo della disponibilità del risparmio locale.

L’integrazione economica e la multilateralità dei rapporti ha anche permesso la diffusione dei benefici derivanti dall’adozione di standard comuni. Senza standard globali, non potremmo beneficiare delle migliori tecnologie sviluppate altrove. Basta immaginare come sarebbe il mondo se ogni Paese avesse adottato protocolli propri per la trasmissione di voce e dati: il world wide web non esisterebbe. Ci sono gli standard ambientali, che hanno permesso a tutti i Paesi di migliorare la qualità dell’aria che si respira; quelli sanitari, che hanno diffuso rapidamente i progressi della ricerca, ovunque fosse sviluppata, con un rapido aumento della speranza di vita; quelli di regolamentazione, che riducendo le barriere all’ingresso nazionali e imponendo parità di condizioni tra Paesi hanno promosso la concorrenza e aumentato le tutele per i consumatori. L’integrazione ha anche ampliato ovunque le nostre possibilità di scelta: cosa mangiare, come comunicare, che musica ascoltare, come vestire, come investire il nostro risparmio, quali medicine prendere.

Con la Brexit, per la prima volta, un Paese inverte ufficialmente la rotta, rinnegando la multilateralità a favore di “sovranismo” e relazioni bilaterali; e preferendo le barriere alla mobilità e all’apertura dell’economia. Così mette a repentaglio gli enormi benefici conquistati in questo scorcio di secolo che, però, sembrano non contare per un’opinione pubblica che erroneamente li considera ormai scontati e intangibili.

L’illusione è trovare una cura per il disagio sociale e la perdita di identità nazionale. Ma barriere e sovranismo ben poco potranno a fronte di un disagio figlio soprattutto di uno sviluppo tecnologico straordinariamente rapido che ha apportato benefici ingenti, finiti però ad arricchire solo i pochi dotati del capitale umano e finanziario necessario per avvantaggiarsene. Contro questo, confini e barriere potranno ben poco. E si paga un prezzo inaccettabile se la ricerca della propria identità va a scapito della mobilità.

Un insegnamento, la Brexit ce lo dà: miopia e grettezza potranno farci fare molta strada; a ritroso.

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