Che sia recessione o forte rallentamento, i mercati azionari scontano una compressione di margini e utili con forti ribassi. La caduta è guidata dai cosiddetti titoli Growth (con le più alte attese di crescita di fatturato e utili): emblematico il crollo di Apple e Facebook che in pochi mesi hanno perso il 40 per cento. I titoli Growth hanno fatto significa-tivamente peggio dei Value (con valutazioni di mercato basse rispetto a valori patrimoniali e reddituali) invertendo un trend decennale: dal 2009 infatti l’indice Growth del mercato americano è cresciuto il doppio di quello Value; dinamica simile nell’Eurozona, con una overperformance del 53% dell’indice Growth.
Non è sempre stato così. Nel decennio precedente erano state le strategie Value a generare le performance migliori: +45% rispetto al Growth negli Usa, +91% nell’Eurozona.
Le strategie Value ricercano rendimenti superiori alla media investendo con un’ottica di lungo periodo in titoli eccessivamente penalizzati da un mercato dominato da investitori di breve termine e hanno generato rendimenti superiori anche in tutto il periodo compreso fra il dopoguerra e la bolla internet della metà anni 90.
Per un investitore, oggi è fondamentale stabilire se i recenti movimenti di mercato siano i prodromi di un ritorno in auge delle strategie Value, o una momentanea rotazione settoriale a favore dei titoli difensivi che non intacca le prospettive a lungo termine dei titoli Growth.
Per capirlo, vale la pena ricordare che il valore di una società è dato dalla somma dei flussi di cassa attesi (dopo gli investimenti), scontati al suo costo del capitale, e di un valore terminale che rappresenta le sue opportunità e capacità di crescita a lungo termine. Nei titoli Growth prevale il valore terminale (prospettive future) e per questo sono scambiati a premio rispetto ai valori patrimoniali correnti. Nei Value prevale il valore dei flussi di cassa, spesso distribuiti come dividendi, mancando grandi opportunità di crescita e per questo in Borsa non comandano un premio.
Credo che la tendenza dell’ultimo decennio a premiare i titoli Growth sia destinata a finire.
Sono Growth infatti le società che lanciano prodotti di enorme successo, capitalizzano le applicazioni di innovazioni tecnologiche dirompenti, crescono acquisendo piccole società innovative, oppure tramite fusioni tese a realizzare economie di scala. Ma è difficile immaginare che sempre le stesse società continuino a sfornare prodotti di grande successo o, date le dimensioni raggiunte, riescano ad innovare tramite acquisizioni; e dopo un lungo decennio di crescita e forte innovazione tecnologica è difficile trovare ancora settori con forti economie di scala, o sperare in sempre nuove tecnologie dirompenti, laddove storicamente è prevalsa la discontinuità.
Questo non implica che le strategie Value torneranno a essere vincenti. Questi titoli (oggi banche, petroliferi, auto, utility, materiali di base) sono legati a società caratterizzate da alta intensità di capitale fisico, che giustifica un elevato indebitamento. Il premio per i titoli Value rilevato in passato parrebbe dovuto all’erosione del valore reale del debito, provocato dall’inflazione, e dall’elevato valore dello scudo fiscale degli interessi passivi: condizioni che non si ripresenteranno nei prossimi anni. Inoltre il capitale fisico tende a rendere sempre di meno rispetto a quello intangibile.
Margini, crescita e flussi di cassa continueranno a determinare il valore delle società. Ma non credo che strategie basate semplicemente su rapporti tra valori di mercato e di bilancio, da una parte, o aspettative di crescita, dall’altra, saranno in grado di generare rendimenti in eccesso al mercato. In altre parole la dicotomia tra Value e Growth sta perdendo di significato.
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