Il rischio che pende sui conti pubblici, tanto da rendere probabile una manovra bis a metà anno (per ora smentita dal Governo), non deriva solo dagli effetti del rallentamento dell’economia su debito e deficit. Per contenere questo impatto sui conti pubblici potrebbe scattare il ricorso alle «circostanze eccezionali» previste dalle regole europee. Qualora venisse riconosciuta una interpretazione “estensiva” di cui hanno usfruito anche i precedenti governi. In caso di una fase recessiva o di grave rallentamento del ciclo economico potrebbe scattare una sorta di flessibilità automatica. Oltre al rischio frenata, il vero punto debole è un altro e va ricercato nella composizione stessa della manovra. In particolare in tre aspetti: gli introiti da privatizzazioni, che nel complesso sono cifrati in 18 miliardi nel 2019, la “clausola sulla spesa” da 2 miliardi attiva fino a luglio, l’incerta quantificazione dei maggiori incassi attesi quest’anno, grazie alla combinazione di nove condoni e dell’avvio della fatturazione elettronica che da sola dovrebbe garantire 2 miliardi.
Ed è proprio su questo insieme di misure (oltre che sui possibili effetti del rallentamento della crescita) che la Commissione europea avvierà tra breve il suo “monitoraggio”, per verificare se gli impegni sottoscritti sul filo di lana poco prima di Natale potranno o meno essere rispettati. Bruxelles giudica quanto meno ambiziosa la previsione del Governo che punta a realizzare dismissioni di asset pubblici e di immobili per un punto di Pil. Nel primo caso, gli incassi andrebbero ad abbattere il debito, nel secondo a riduzione del deficit per poco meno di 1 miliardo. Poste di bilancio a rischio, una scommessa tutta da verificare sul campo, come mostra l’esperienza non proprio incoraggiante degli ultimi anni. Quanto alla clausola sulla spesa, l’accordo raggiunto in extremis con Bruxelles che ha evitato la procedura d’infrazione parla chiaro: l’accantonamento per 2 miliardi di alcune voci del bilancio (in particolare a carico dei ministeri) si riferisce ai primi sei mesi dell’anno. Se a luglio l’andamento dei conti risulterà in linea con i valori programmati, queste somme potranno essere sbloccate. In caso contrario lo stop si estenderà all’intero anno, il che di per sé già equivale a una manovra-bis.
Sul fronte delle entrate il conto si farà a fine anno, ma già tra giugno e luglio (con l’assestamento di bilancio) sarà possibile appurare l’andamento delle principali voci che compongono la manovra 2019. A rischio paiono fin d’ora i 2 miliardi attesi dall’estensione erga omnes dell’obbligo della fatturazione elettronica, ad esclusione di quanti rientrano nel nuovo regime forfettario dell’Iva. A queste incognite va aggiunto l’effettivo “tiraggio” delle due misure portanti della manovra, reddito di cittadinanza e quota 100. Stando al dispositivo varato due giorni fa dal Consiglio dei ministri, per la revisione della legge Fornero sono in campo poco meno di 4 miliardi che salgono a 8,3 miliardi nel 2020 e 8,6 miliardi nel 2021. Per reddito e pensione di cittadinanza l’impegno di spesa per l’anno in corso è circa 6 miliardi. Una possibile revisione in corso d’opera di tale ingente mole di risorse pubbliche richiederebbe anch’essa di ricalibrare le uscite soprattutto nel primo anno di applicazione. E non a caso la Ragioneria ha chiesto l’introduzione di una clausola di salvaguardia per quota 100, nel caso in cui gli esborsi effettivi a carico dell’Inps superino gli stanziamenti fissati in manovra (altra ipotetica manovra-bis).
Il complesso lavoro di monitoraggio delle misure di spesa e di entrata si intreccia con un altro, fondamentale appuntamento: la messa a punto a metà aprile del nuovo Documento di economia e finanza da inviare a Bruxelles. Non sarà un passaggio banale, perché oltre alla revisione al ribasso della stima di crescita (per ora ferma all’1%) nel documento il Governo dovrà indicare come far fronte a 23 miliardi di aumenti dell’Iva, che in mancanza di risorse compensative, scatterà dal 1° gennaio del prossimo anno.
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