La buona notizia è che al World Economic Forum, negli incontri e nelle cene riservate tra leader delle grandi imprese e politici di primo piano, si è parlato poco dell’Italia: fosse successo il contrario, ci si sarebbe focalizzati sulla presunzione di un rischio-Italia, evocato alla vigilia del summit di Davos dal Fondo monetario internazionale. Tanti altri fattori di incertezza hanno un impatto internazionale più forte e sono balzati in primo piano nelle discussioni, afferma Emma Marcegaglia, presidente dell’Eni, che - anche come membro di vari consessi associativi, dalla Community of chairman (che raggruppa i presidenti delle principali società del mondo) alla Alliance of ceo climate leaders - ha avuto un accesso privilegiato a quanto accade dietro le quinte di un Forum che pure travolge il pubblico - presente o mediatico - con una ingente mole di eventi e documenti.
All’hotel Kongress, ad esempio, l’ex presidente di Confindustria (e fino a pochi mesi fa di Business Europe) era a tavola con policymaker di primo piano come Angela Merkel e due commissari europei, più un presidente e ministri di vari Paesi (come il francese Bruno Le Maire e il tedesco Peter Altmaier). C’era anche il chief executive di Apple, Tim Cook, il giorno stesso in cui ha incontrato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. «Tutti sono dell’idea che l’Europa vada resa più forte e che debba restare fedele ai suoi valori fondanti - dice Marcegaglia -. Non solo: c’è consenso sul fatto che l’Europa debba prendersi maggiori responsabilità a livello geopolitico, visto che gli Stati Uniti non sembrano più interessati a occuparsi degli equilibri del mondo».
Una grande discussione, aggiunge, si è sviluppata sui temi della competitività e dell’innovazione, sui cui ha molto insistito Angela Merkel. «Siamo ancora competitivi, ma abbiamo un po’ perso alcuni treni, dalle piattaforme tecnologiche alla più avanzata intelligenza artificiale. Il bilancio europeo investe poco sulla tecnologia, il venture capital è relativamente carente, le cornice regolatorie ancora frammentate e rigide». Non è che il venture capital non ci sia: le idee trovano finanziamenti iniziali, ma poi le società, nella fase successiva di scale-up, emigrano in America. «Ho fatto notare che a volte in Europa abbiamo paura dell’innovazione, privilegiando il principio di precauzione. Si devono prende più rischi».
Anche il “messaggio forte” che si sono scambiati i ceo dei maggiori gruppo mondiali «riguarda una maggiore assunzione di responsabilità: in questo caso da parte delle aziende, nell’affrontare i problemi sociali. Se ne era parlato anche in passato, ma alla fine con il retropensiero che sarebbe stato il mercato a spingere o meno. Di fronte alle difficoltà dei governi a rispondere al malcontento sociale, emerge la consapevolezza che aziende sane non possano prosperare in una società non sana». Ma quale ne è la traduzione pratica? «Ad esempio, con un impegno molto forte nel training e retraining delle risorse umane, e per il contrasto al cambiamento climatico - afferma Marcegaglia - tenendo sempre più in considerazione gli interessi di tutti gli stakeholder e non solo dei shareholder».
Sicuramente circola meno ottimismo, rispetto alla Davos dell’anno scorso, sull’economia globale e su quella dell’Eurozona: «Sono aumentate le incertezze e i venti contrari, ma, ed è anche il mio parere, non siamo di fronte alla prospettiva di un 2019 di recessione». Ad esempio, difficile fare pronostici sull’evoluzione della guerra commerciale tra Usa e Cina, o sul rischio di tensione Usa-Ue sul trade, e un punto interrogativo riguarda la Cina: «Se ne è parlato molto. C’è chi avverte che la frenata economica di Pechino è più forte di quanto emerga dai dati ufficiali. Anche qui, però, sono d’accordo con la maggioranza nel ritenere che la Cina abbia le risorse per gestire un atterraggio morbido».
Il Fondo monetario internazionale ha rivisto al ribasso le sue stime anche sui prezzi petroliferi: «La domanda appare ancora robusta. Noi stimiamo che nei prossimi anni il barile resterà sui 60-70 dollari. Livelli su cui come Eni non abbiamo alcun timore per la redditività».
Sull’Italia e sul suo rapporto con l’Europa ha incentrato il suo discorso a Davos il premier Giuseppe Conte, spiegando le misure-chiave prese dal suo esecutivo, non senza qualche critica all’architettura europea. «Sicuramente dobbiamo affrontare il tema della disuguaglianza e di una Europa dei cittadini - osserva Marcegaglia - ma, per fare questo, dobbiamo essere molto competitivi. Se non cresciamo, se non facciamo innovazione, se si fermano gli investimenti e la produttività ristagna, alla fine non ci saranno le risorse neanche per affrontare il tema giusto del malcontento sociale e di una maggiore inclusività. Spero che la seconda fase dell’azione del governo sia molto concentrata su investimenti e competitività».
Sulle polemiche in corso con la Francia, Emma Marcegaglia rileva preliminarmente che «l’Europa deve essere forte, unita e più integrata, specie tra i Paesi che hanno una moneta unica. Non ci sono strade alternative». Riconosce che ci sono interessi economici a volte in conflitto e che sulla vicenda Fincantieri-Stx Parigi non sia stata corretta, e sottolinea: «L’unica soluzione è dialogare, anche con grande fermezza e durezza. Tra l’altro, con le sue difficoltà sociali, secondo me la Francia ha molto più in comune con noi che con la Germania, Trattato di Aquisgrana o meno. Potrebbe essere un alleato nel chiedere alle istituzioni della Ue più spazi per gli investimenti. Qui oggi parlavamo di Project bond per grandi progetti di ricerca europea. Sono idee su cui va costruito il consenso tra partner europei».
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