«Nessuna tassa se non c’è una rappresentanza», tuonavano i coloni americani quando avviarono la rivolta che li portò all’indipendenza dal Regno Unito alla fine del XVIII secolo (no taxation without representation).
La rivolta inizialmente era tesa ad avere una maggiore rappresentanza nel Parlamento britannico a fronte delle tasse pagate. Poi, come sappiamo, finì con la Guerra d’indipendenza. In Italia, per gli autonomisti di casa nostra, bisognerebbe invertire la sentenza: no representation without taxation. In effetti stiamo assistendo a una richiesta di autonomia da parte di molte regioni italiane, ma senza assumersi la responsabilità di mettere le tasse conseguenti. Al contrario queste Regioni, che si vogliono rendere autonome, pretendono che sia lo Stato centrale a tassare i cittadini e loro a beneficiare di questa tassazione attraverso l’appropriazione di parte rilevante di queste tasse, per poter spendere come meglio loro aggrada.
Quindi, autonomia nella spesa, che può portare consenso e voti, ma dipendenza dal centro nel prelievo, che solitamente porta malumore e discredito politico. Così il cittadino di queste Regioni sarà riconoscente a chi spende (la Regione) e infastidito da chi tassa (lo Stato). Comodo, si potrebbe dire, ma molto inefficiente e ingiusto. Infatti, le Regioni che acquisiranno autonomia di spesa saranno portate ad aumentare o a promettere sempre una maggiore spesa per i cittadini, riversando le colpe sullo Stato centrale se non riusciranno a mantenere le loro promesse.
D’altra parte, ricevere trasferimenti dallo Stato centrale sulla base delle tasse raccolte dallo Stato sulla Regione specifica è ingiusto perché non necessariamente i redditi prodotti in talune Regioni sono da attribuire alle Regioni stesse. Prendiamo il caso di un amministratore delegato di una grande azienda che ha stabilimenti in tutto il Paese e anche all’estero. Egli beneficia di un reddito che non può essere attribuito alla Regione di sua residenza. E si possono fare altri esempi.
Se si vuole dare autonomia di spesa alle Regioni, si deve dare anche capacità di imposizione autonoma. L’elettore deve poter giudicare la gestione non solo attraverso la spesa, ma anche attraverso il prelievo fiscale che la finanzia, deciso dalla stessa entità che decide la spesa. Ecco allora che le Regioni che chiedono autonomia dovrebbero anche avere autonomia di tassazione.
Lo Stato dovrebbe ridurre il peso delle sue imposte, mentre dovrebbe lasciare alle Regioni la possibilità di mettere tasse locali, in funzione dei servizi che vengono forniti, soprattutto con l’impostazione sugli immobili che rappresentano l’indicatore più adatto a significare la presenza sul territorio e quindi l’uso dei servizi locali. Così avviene in molti dei principali Paesi dove vigono tasse locali. Una tale soluzione, non solo sarebbe ben più adatta alla pretesa di autonomia, ma favorirebbe anche un riequilibrio della tassazione, oggi troppo gravante sui redditi da lavoro e poco sulle rendite. Ma temo che gli autonomisti nostrani non abbiano il coraggio di presentare il conto agli elettori.
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