Cosa c’è dietro l’andamento altalenante del petrolio? E che ripercussioni ha sulla recessione italiana? Mentre nuove sanzioni venivano inflitte dagli Usa all’Iran , il prezzo del petrolio a ottobre schizzava a 86,29 dollari al barile. Molti ritenevano che questa situazione potesse rappresentare un pericolo per l’Italia in quanto acquirente di vecchia data del petrolio iraniano. Poi, verso fine anno, il prezzo del Brent è sceso a 53,8 dollari per poi risalire a 60 dollari lo scorso mese. La volatilità continuerà a essere presente ma l’Italia si dimostrerà resiliente.
I mercati del petrolio, così come quelli azionari, sono relativamente efficienti e guardano in avanti. Ancora prima che le sanzioni entrassero in vigore il prezzo del barile era salito, incorporando in anticipo l’impatto delle sanzioni. La successiva discesa del prezzo del petrolio era conseguenza di una maggior offerta rispetto al previsto e i timori per una domanda debole. L’aumento del greggio aveva sovrastimato l’impatto delle sanzioni. La flessione del prezzo ha parzialmente recepito la realtà che si andava delineando.
Le percezioni mutevoli con riferimento alla crescita economica globale possono far oscillare i prezzi del petrolio nel breve periodo. La paura di un rallentamento globale alla fine del 2018 ha indebolito sia i prezzi dei mercati azionari che del petrolio. Queste paure appaiono infondate e spiegherebbero la crescita a gennaio del petrolio e in contemporanea quella dei titoli azionari. Sì, la lieve flessione del Pil nell’ultimo trimestre ha fatto tecnicamente entrare l’Italia in recessione. In generale, a livello globale siamo in presenza di una crescita, forse lenta, ma è pur sempre una crescita. C’è da notare come l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie) stimi che la domanda di petrolio raggiungerà la soglia record di 100 milioni di barili al giorno nel quarto trimestre.
L’offerta di petrolio continua a crescere. Le esenzioni, come quella concessa dagli Usa all’Italia, eliminano in parte le paure in merito alle forniture. È ancora più importante notare che lo scorso anno la produzione degli Stati Uniti è cresciuta del 16% e adesso sono il maggiore produttore di petrolio a livello mondiale- oltre che un esportatore netto di petrolio per la prima volta da decenni.
Le nuove tecnologie innovative, che hanno permesso un’espansione delle riserve di gas naturale negli Usa pari quasi al 900%, continuano ad allargarsi nel settore petrolifero. I produttori statunitensi continuano a potenziare l’efficienza, a tagliare i costi e a produrre a prezzi ancora minori. Nel 2019 la produzione di petrolio americana dovrebbe superare 1,2 milioni di barili al giorno, pari al 70% delle esportazioni iraniane prima dell’imposizione delle sanzioni.
Per quanto riguarda la domanda, il declino economico globale ha colpito soltanto cinque paesi sviluppati - tra cui l’Italia- ma sembra che stia per terminare. La recessione in Italia (così come quella in Germania e Svezia) in parte dipende dalle nuove regole europee sulle emissioni che hanno colpito il settore automobilistico. Ci stanno lavorando. Svaniranno anche i timori legati a tassi di interesse elevati in Italia e l’impatto sui prestiti alle imprese in quanto si sono stabilizzate le paure della legge di bilancio e dei relativi oneri finanziari. Le esportazioni dovrebbero riprendere grazie alle nuove misure volte a ripristinare la domanda del settore privato in Cina.
Stiamo ragionando come facevamo decenni fa quando l’embargo dell’Opec fece schizzare i prezzi e provocò carenza di petrolio a livello globale. Vengono alla memoria i ricordi della crisi economica italiana del 1974-75, l’elevata inflazione globale e i tassi di interesse alti. Questi ricordi però sono fuorvianti perché l’intensità energetica sta diminuendo. In Italia e nel mondo sviluppato, i servizi superano il settore manifatturiero. In Italia il settore dei servizi rappresenta i due terzi del Pil. I servizi necessitano di meno energia. Perfino il settore manifatturiero ha ridotto il consumo energetico! Secondo le statistiche ufficiali l’intensità energetica globale ha subito un calo del 32% dal 1990 al 2015. Per ogni euro di Pil indicizzato all’inflazione oggi serve una frazione del petrolio di cui c’era bisogno 40 anni fa. Questo fa sì che l’aumento dei prezzi dell’energia non possa rallentare la crescita.
Presidente di Fisher Investments Europe e Presidente Esecutivo di Fisher Investments
© Riproduzione riservata