Il progetto cinese della Belt and road initiative (Bri), o Nuova via della seta, sarà dannoso sia per l’Italia che per l’Europa. È per questo che Bruxelles e Washington stanno cercando di far cambiare idea al governo italiano.
È la mancanza di fondi da investire la vera ragione per cui l’Italia si prepara ad accettare gli investimenti cinesi della Bri? Improbabile. Ci sono fondi europei a disposizione per essere investiti. L’Italia deve semplicemente migliorare i suoi processi amministrativi per avere accesso a questi capitali. L’austerity europea non ha a che fare con investimenti in infrastrutture, bensì con la spesa corrente. Il problema, quindi, non può essere la mancanza di capitali.
L’obiettivo può essere di indebolire l’Unione europea e, contemporaneamente, promuovere gli interessi cinesi? Forse. Però la Belt and road initiative non è l’unico modo per avvicinare l’Italia alla Cina. Questo progetto prevede che vengano investiti capitali cinesi in infrastrutture italiane. Però il governo gialloverde è chiaramente contrario ai progetti infrastrutturali. Basta pensare alla Tav. La Belt and road initiative prevede, tra l’altro, di modernizzare il porto di Trieste e di migliorare i suoi collegamenti sia ferroviari che stradali. In un certo senso, la posizione italiana sembra incoerente.
D’altra parte, la Cina sa che l’Italia potrebbe usufruire dei capitali Ue, ma che il governo attuale è contrario a grossi progetti infrastrutturali. Pechino ha degli obiettivi chiari, sia immediati che a lungo termine. Ora cercherà di far accettare il progetto dal governo attuale e in futuro aspetterà un altro governo per iniziare a investire. Nel breve termine cercherà di influenzare la strategia di commercio italiana, compromettendo così l’unità dell’Unione.
Bruxelles e Washington osservano tutto questo con sconcerto. Accettare capitali cinesi vuol dire accettare aziende di costruzioni cinesi, banche cinesi, acciaio cinese, ingegneri cinesi e anche manodopera cinese. Bandi per lavori e servizi saranno ristretti, o peggio ancora, non ci saranno affatto. La Belt and road initiative fa parte della strategia Made In China 2025 con l’obiettivo di: 1) creare aziende cinesi capaci di affrontare le grosse multinazionali occidentali; 2) sostituire importazioni tecnologiche con macchinari made in China; 3) incrementare le esportazioni di acciaio, alluminio, rotaie. Questa strategia cinese non potrà essere influenzata da Paesi terzi, inclusa l’Italia.
La politica economica cinese è di isolare il suo mercato, e contemporaneamente di espandere la presenza delle proprie imprese in quelli esteri. Così vuole il Partito comunista. Le aziende cinesi rispondono al Partito, e non al mercato. In Italia, possono portare vantaggi, ma a un prezzo elevato: l’esclusione graduale dei fornitori e delle aziende Ue nei progetti cinesi, e la riduzione delle esportazioni italiane.
A parole, Pechino promuove pari opportunità e apertura totale, ma i fatti dicono altro. La Cina non è trasparente. Sembra che l’Unione l’abbia capito, con la proposta di un cambio di strategia all’inizio di febbraio.
La Commissione sa bene che servono buoni rapporti tra Bruxelles, Roma e Pechino. Ma rapporti di questo genere sono possibili solo in situazioni di apertura. Nel firmare questo accordo, il governo italiano sta aggirando - e danneggiando - i rapporti tra Roma e Bruxelles. La Cina può essere un alleato sia dell’Italia che della Ue, ma non attraverso questa iniziativa.
(* Resident partner con base a Bruxelles dello studio legale Nctmed editor di Across the EUniverse)
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