La crescita economica sta rallentando in tutto il mondo. Il ciclo economico in corso è uno dei più lunghi della storia: l’area Ocse cresce da 27 trimestri, e ne mancano solo 13 perché l’attuale fase espansiva diventi la seconda più duratura di sempre.
Tuttavia, il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha rivisto al ribasso la previsione per il tasso di crescita mondiale 2019: era pari a +3,9% ad aprile, corretto a +3,7% a ottobre e abbassato a +3,5% a gennaio. Simili segnali di rallentamento si osservano per l’Eurozona: la Commissione europea in autunno prevedeva una crescita dell’1,9% nel 2019, ridimensionata a +1,3% pochi mesi più tardi. La Germania è ferma (-0,2 nel terzo trimestre 2018 e zero nel quarto), la Francia in difficoltà (+0,3 sia nel terzo che nel quarto trimestre). Resiste solo la Spagna, (+2,6% nel 2018).
Le previsioni di crescita per il 2019 dell’Italia vanno da +0,6% (Fmi) a -0,2% (Ocse), unico Paese con un outlook negativo. Se la crescita del Pil 2019 dovesse essere in linea con le previsioni dell’Ocse, anche in presenza di un deficit pari al 2% del Pil, il rapporto debito/Pil salirebbe al 134,3%. Questa congiuntura renderebbe necessaria una manovra correttiva da oltre 30 miliardi di euro per stabilizzare il rapporto debito/Pil al livello 2018 anche per l’anno in corso.
L’Ambrosetti club economic indicator, un insieme di indicatori realizzati sulla base di survey trimestrali presso la business community di The European House - Ambrosetti, che comprende oltre 350 fra imprenditori, ad e top manager delle maggiori società italiane e multinazionali operanti in Italia, fornisce con sei mesi di anticipo una previsione della variazione tendenziale del Pil con una forbice di errore dello 0,1 per cento. Dalle stime preliminari sui primi tre trimestri dell’anno, il 2019 sembra indirizzato verso una crescita nulla.
L’indicatore relativo alla valutazione attuale del business è in calo per il quarto trimestre consecutivo, sconfinando per la prima volta in territorio negativo. L’indicatore va da -100 (aspettative totalmente negative) a +100 (aspettative totalmente positive). La flessione fra due trimestri (-21,8 punti) non è mai stata così ampia. È dal dicembre 2017 che l’indicatore si deteriora, con un’accelerazione fra il secondo e il terzo trimestre 2018.
I dati sulla produzione industriale parlano chiaro: la variazione mensile congiunturale è stata negativa a novembre (-3,4%) e a dicembre (-1,4%). Il rialzo a gennaio (+1,7%) è stato solo un rimbalzo “tecnico”, visto che a febbraio la produzione industriale è tornata negativa (-0,5%), spinta dalle difficoltà del settore automotive.
Anche la previsione del business a 6 mesi presenta, per la prima volta dalla nascita dell’indicatore, un valore negativo. La variazione è tuttavia inferiore a quella dell’indicatore sulla situazione attuale del business, eredità di un crollo delle aspettative già registrato nell’ultimo trimestre 2018.
Il fronte che desta più preoccupazioni è il lavoro. Per il secondo trimestre consecutivo l’indicatore è negativo (-16,7), con un ulteriore peggioramento del quadro occupazionale, ai livelli minimi dal 2014. Anche qui il trend di decrescita è costante, con la terza variazione negativa consecutiva.
Gli ultimi dati Istat rilevano come a febbraio, rispetto al mese precedente, ci siano 34mila disoccupati in più e 14mila occupati in meno, mentre il tasso di occupazione torna al 58,6%. La riduzione degli occupati è spiegata dalla riduzione dei lavoratori dipendenti (-33mila lavoratori permanenti e -11mila a termine) compensata solo in parte da 30mila nuovi lavoratori autonomi. A livello annuale, fra febbraio 2018 e febbraio 2019 i lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato sono diminuiti di 65mila unità, mentre crescono gli occupati a tempo determinato (+107mila).
Anche sul tema degli investimenti le imprese mostrano segnali di incertezza (-4,9 l’Ambrosetti indicator). L’aumento del costo del denaro dovuto al rialzo dello spread si fa sentire, e potrà peggiorare se il differenziale di interesse Btp/Bund rimarrà sui valori attuali. A oggi, il mercato richiede all’Italia rendimenti 5 volte superiori rispetto a quelli francesi, 4 volte rispetto a quelli spagnoli, 3 volte rispetto a quelli portoghesi. I rendimenti greci sono solamente 1,5 volte superiori a quelli italiani e lo spread ellenico è solo il 40% (100 punti base) più alto di quello del nostro Paese: il costo del rischio associato all’Italia è alto, non a caso l’indicatore provisionale sugli investimenti esprime sfiducia.
In sintesi, l’Ambrosetti club economic indicator conferma un quadro molto negativo. Sarebbe utile avere risposte concrete
da parte delle istituzioni e dei policymaker perché un dibattito pubblico che non guarda al di là delle scadenze elettorali non è l’ambiente ideale per stimolare la crescita.
Managing Partner & Ceo The European House-Ambrosetti
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