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Università in cerca di stranieri, ma c’è il freno della burocrazia

L’internazionalizzazione dell’offerta formativa delle nostre università (corsi di studio, master e dottorati) è uno degli obiettivi strategici che il ministero dell’Università e della ricerca ci propone. E giustamente, a mio avviso.

A questi obiettivi sono associati meccanismi di incentivazione. Il numero di iscritti con titolo estero o con cittadinanza estera rientra in “indicatori ministeriali” che concorrono a definire la quota premiale del Fondo di finanziamento ordinario. Le università vengono premiate sulla base del numero di studenti internazionali che entrano nei loro corsi di primo, secondo e terzo livello. Uno degli strumenti che molti atenei stanno adottando, direi giocoforza, è quello di incoraggiare l’attivazione di percorsi di studio in lingua inglese. Nel 2016-2017 le nostre università hanno visto percentuali esigue di stranieri tra gli immatricolati (4,6%), gli iscritti (4,7%) e i laureati (3,8%). Le nazionalità più numerose sono quella albanese e rumena - evidentemente meno in difficoltà con la lingua italiana - che insieme costituiscono quasi un quarto degli studenti stranieri. Tra le altre componenti rilevanti troviamo cinesi (9,5%), ucraini (4,5%), moldavi (4,2%) e iraniani (4,2%). Le altre nazionalità sono tutte percentualmente inferiori. Nel complesso la presenza di studenti internazionali nei corsi di I e II livello è marginale. Le cose vanno un po’ meglio nel dottorato (10%), perché più focalizzato sulla ricerca.

Bene quindi rendere i nostri corsi accessibili a chi non parla italiano. Può non piacere, ma l’inglese è la “lingua franca” di questa epoca, come lo era il latino nei secoli passati. Il problema comincia quando si vuole passare dalla teoria alla pratica. Per prima cosa, chi è lo studente internazionale interessato a conseguire una laurea in Italia? Che profilo ha?

Indubbiamente studenti interessati agli studi classici e sociali possono essere attratti dalla possibilità di studiare in Italia per accedere direttamente a fonti storiche, letterarie, artistiche non altrimenti disponibili in altri Paesi. Un po’ più difficile, ma anche qui esistono numerose eccezioni, è pensare a studenti che vogliano entrare in corsi di studio scientifico e tecnologico. In questi settori la competizione con altri Paesi europei (Germania, Regno Unito, Francia, Paesi del Nord Europa) è un po’ persa in partenza. In Italia ci saranno ottimi docenti e profili scientifici di alto livello, ma le nostre strutture didattiche sono - mediamente - molto carenti in quanto ad attrezzature, impianti e strumentazioni.

E queste non sono nemmeno le difficoltà maggiori. I problemi più difficili da risolvere sono spesso di natura logistica e amministrativa. Trovare alloggio in una grande città italiana, per gli studenti stranieri, è un’impresa ardua: gli studentati sono poco numerosi, la competizione con gli studenti italiani e i turisti per gli alloggi dei privati è alta, e alta è la diffidenza dei proprietari nei confronti degli studenti stranieri, tanto più se extracomunitari.

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A questo si sommano le difficoltà burocratiche. Gli studenti comunitari non hanno grossi problemi, ma la maggior parte dei ragazzi che possono essere attratti verso le nostre lauree proviene dal Sud o dall’Est del mondo. Gli studenti extracomunitari devono fare i conti con le pratiche di immigrazione del nostro Paese, pratiche non molto diverse per un cittadino straniero che venga in Italia per studiare in una magistrale o prendere un dottorato oppure per trovare un lavoro qualsiasi. È una burocrazia sfiancante e demoralizzante. Gli uffici delle università, anche le più attrezzate, possono fare ben poco.

Abbiamo studenti che attendono mesi e mesi per avere il permesso di soggiorno. Non possono quindi spostarsi dall’Italia perché potrebbero non riuscire a rientrare, e se sono dottorandi non possono partecipare a scuole o congressi all’estero, richiesti per la loro formazione. Per non parlare di chi ha famiglia: un permesso per il ricongiungimento ha tempi non compatibili con la vita delle persone. Ordinaria burocrazia che agisce come deterrente spaventoso sull’attrazione di quegli studenti internazionali che siamo incentivati ad attrarre. Studenti che, inter alia, potrebbero anche essere una risorsa finanziaria, perché spesso hanno il supporto dei Paesi di origine. Un’altra schizofrenia del sistema.

E noi? Noi docenti cerchiamo per lo più di fare “the best of a bad job”. Siccome l’università internazionale è nel nostro Dna, che cosa facciamo? Li aiutiamo a cercare casa, a volte addirittura li ospitiamo, li accompagniamo in questura o agli uffici a destra e a manca. Facciamo da interpreti e spesso da mediatori culturali. Insomma, come al solito, ci “diamo da fare”. Cerchiamo di sopperire. Pur sapendo bene, e da molto tempo, che nessun sistema progredisce sul volontarismo.

* Direttore dell’Istituto di studi
avanzati Alma Mater Studiorum
Università di Bologna

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