Il fallito arrocco tedesco Deutsche-Commerzbank lascia in eredità due certezze al mercato. Entrambe più politiche che finanziarie. La prima è evidente nelle motivazioni ufficiali con cui le due banche hanno comunicato la rinuncia all’operazione: i benefici della fusione sarebbero stati inferiori ai costi di esecuzione. Tradotto in parole semplici, i 30.000 esuberi che sarebbero stati necessari per garantire le sinergie di costo gradite al mercato non sarebbero mai stati accettati dal sindacato dei dipendenti, che ha un’ampia rappresentanza nei consigli di sorveglianza dei due istituti. Con quali conseguenze? Guardando alla prospettiva di Commerzbank, tuttora partecipata dallo Stato tedesco, a questo punto pare difficile ipotizzare che il sistema Germania consenta ad altre banche estere con base tedesca di organizzare una fusione con Commerzbank: le sinergie di costo, apprezzate dagli investitori, mal si conciliano con la ragion di Stato e con il rifiuto della politica nazionale di avallare drastici piani di ridimensionamento del personale. Un dato di fatto con cui eventualmente dovrà confrontarsi UniCredit, se davvero vorrà farsi avanti per Commerzbank puntando alle sinergie realizzabili con Hvb, ma anche l’olandese Ing o la francese Bnp Paribas (finora rimasta nell’ombra, ma non fuori partita).
La seconda certezza che emerge dalla vicenda Deutsche-Commerzbank è che il Governo tedesco non sarà puro spettatore del riassetto bancario in Germania. La fusione tra i due big del credito voluta dal Governo è fallita, si vedrà poi se solo temporaneamente o in via definitiva. Ma è difficile che la spinta dello Stato tedesco a governare il riassetto evapori solo perché il progetto per ora non è andato in porto. Il destino di Commerzbank resta nelle mani dell’azionista pubblico che, è vero, non può fare quello che vuole ma mantiene comunque un potere di interdizione su qualunque operazione sgradita.
E Deutsche Bank? Il colosso vacilla e la strategia, forse prima ancora della redditività, appare più incerta di prima. Il merger con Commerzbank avrebbe portato in dote un aumento di capitale, stimato in dieci miliardi, di cui la banca ha sempre negato di avere bisogno. Fallire un tentativo di fusione-ricapitalizzazione e poi andare avanti come se niente fosse accaduto non sarà facile. Il mercato tornerà a credere nel piano stand alone di Deutsche Bank? Se gli investitori dovessero basarsi sugli stress test di Eba e Bce, Deutsche non ha alcun problema. Ma allora non si capisce perché il Governo tedesco - che a Bruxelles detta le condizioni per l’Unione bancaria europea - abbia tentato in tutti i modi di organizzare una fusione nazionale che aveva come principale conseguenza una maxiricapitalizzazione per mettere in sicurezza la Superbanca. Svanita la fusione con Commerzbank, gli investitori resteranno col dubbio se Deutsche possa andare avanti senza una ricapitalizzazione o uno smembramento delle attività.
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