Anche grazie alla Banca d’Italia il sistema bancario italiano resta complessivamente solido. Permangono alcune criticità per gli istituti di credito di minori dimensioni.
Negli ultimi dieci anni l’Italia ha attraversato la peggior fase economica della sua storia, con una duplice recessione che si è abbattuta senza soluzione di continuità sulla nostra economia: la prima originata dalla crisi finanziaria globale scoppiata nel 2008; la seconda innescata dalla crisi del debito sovrano della Grecia del 2010. Il Pil è calato di quasi il 10%, la produzione industriale è crollata del 30%, oltre 1 milione di posti di lavoro sono andati perduti; tra il 2007 e il 2014 il rapporto tra debito pubblico e Pil è passato dal 100 al 130 per cento.
In questo contesto un numero significativo di imprese e di famiglie non sono riuscite a rimborsare i prestiti ricevuti, con la conseguenza che tra il 2008 e il 2015 il peso dei crediti deteriorati lordi (quelli considerati di difficile recuperabilità in base ai criteri di Banca d’Italia) è triplicato, passando dal 6% al 18% del totale dei prestiti bancari. A tale rilevante incremento ha contribuito la particolare lentezza delle procedure di recupero giudiziale dei crediti nel nostro Paese (in media sono necessari 3 anni per risolvere una controversia nel primo grado di giudizio e 7 anni per chiudere una procedura fallimentare): uno studio di Banca d’Italia ha dimostrato che il peso dei crediti deteriorati sarebbe oggi dimezzato se i tempi di recupero dei crediti fossero in Italia pari alla media europea (nel resto del continente ci vuole meno di un anno sia per definire una controversia in primo grado che per chiudere una procedura concorsuale).
Il peso dei crediti deteriorati lordi sul totale dei prestiti alla clientela è spesso utilizzato quale indicatore di sintesi della qualità del credito bancario, per giungere ad affermare che la qualità degli attivi bancari sarebbe in Italia peggiore rispetto a quella media europea. Tale conclusione non è condivisibile e genera una percezione distorta circa il grado di solidità del nostro sistema bancario. In base agli ultimi dati ufficiali disponibili pubblicati dalla European banking authority per il sistema bancario italiano il peso dei non-performing loan sul totale dei prestiti è pari all’8,3%, quasi il triplo della media europea (3,2%).
Prima di trarre giudizi sulla effettiva qualità degli attivi delle banche italiane è tuttavia necessario verificare come questi crediti sono valutati in bilancio ovvero, detto in altri termini, la misura in cui tali crediti sono stati svalutati, imputando a conto economico le perdite attese a essi connesse. Il “tasso di copertura” (che misura proprio la percentuale di svalutazione dei crediti giudicati non performing) in Italia è pari al 53%, 10 punti in più rispetto al 2008 e, soprattutto, 8 punti in più rispetto alla media europea. Anche se alcune criticità permangono con riferimento alle banche di minori dimensioni (che, in diversi casi, presentano ancora tassi di copertura significativamente inferiori alla media del sistema), si tratta di un dato complessivamente molto positivo. Se a ciò si aggiunge il miglior presidio in termini di garanzie reali e personali che storicamente caratterizza gli affidamenti delle banche italiane rispetto alla media europea, ne consegue che, con specifico riferimento al tema dei crediti deteriorati, la qualità del patrimonio delle nostre banche risulta migliore rispetto a quella media europea: una maggior prudenza nella valutazione dei crediti deteriorati comporta infatti una minore esigenza prospettica di effettuare ulteriori svalutazioni.
Conferma tale conclusione il fatto che mentre negli ultimi 10 anni nel resto d’Europa si è fatto un significativo ricorso all’intervento pubblico per sostenere i singoli sistemi bancari nazionali, in Italia tale intervento è stato molto più limitato: tra il 2008 e il 2017 il valore del rapporto tra fondi pubblici impiegati a favore delle banche e Pil è stato di poco superiore all’1%, circa un quinto del valore medio rilevato nel resto d’Europa e un decimo di quello rilevato in Germania.
Se in un contesto così sfavorevole il nostro sistema bancario ha retto in situazione di “quasi assenza” di intervento pubblico ciò è dovuto alla presenza di un modello di banca “tradizionale”, fondato sulla raccolta del risparmio e sulla concessione di prestiti a famiglie e imprese, piuttosto che sull’investimento in strumenti finanziari derivati; e su un approccio molto prudenziale sia per quanto concerne le politiche di affidamento (garanzie richieste a presidio dei prestiti concessi), che con riferimento alle politiche di valutazione dei crediti deteriorati.
Tale risultato non sarebbe stato possibile in assenza di una azione di vigilanza, complessivamente efficace, condotta da Banca d’Italia, che ha contribuito in misura rilevante alla diffusione di business model orientati alla prudenza (si pensi alle ispezioni effettuate dalla nostra banca centrale al fine di monitorare e, laddove necessario, contenere gli investimenti in derivati degli istituti di credito italiani) e che, più in particolare, ha dato un impulso decisivo proprio alla adozione di politiche prudenziali di valutazione dei crediti deteriorati (si ricordino le numerosissime ispezioni effettuate da Bankitalia, in particolare a partire dal 2012, al fine di monitorare analiticamente l’adeguatezza delle svalutazioni effettuate dai singoli istituti di credito nonché le conseguenti numerose richieste di adeguamento delle rettifiche di valore sui crediti formulate alle banche che presentavano tassi di svalutazione insufficienti).
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