C’era il contatore di bachelite nera con la cupoletta di plastica trasparente dentro il quale girava un disco. Sulla verticale delle centrali colossali dell’Enel, a qualche migliaio di metri di quota, il cielo si tingeva di rosa sulfureo. Non c’era scelta, tutti con l’Enel tranne qualche città dove era obbligatorio allacciarsi all’azienda elettrica municipale. Chi scrive oggi questo articolo vent’anni fa esatti, era la primavera del 1999, era un giovane cronista economico con pochi anni e tante illusioni; raccontava su queste pagine e durante le prime puntate dell’Italian Energy Summit del Sole 24 Ore (la prossima edizione si terrà il 23 e il 24 settembre) il percorso di liberalizzazione dell’energia elettrica che stava delineando l’allora ministro dell’Industria, Pier Luigi Bersani, in un dialogo continuo e impervio con il presidente dell’Autorità dell’energia, Pippo Ranci, con il Parlamento, con economisti di valore come Luigi De Paoli o Edgardo Curcio, con amministratori delegati come Franco Tatò all’Enel o Giulio Del Ninno all’Edison. Come osserva Francesco Vetrò, presidente del Gse, «vent’anni fa il processo di liberalizzazione verteva soprattutto sul tema coraggioso della governance e il paradigma utilizzato, l’obiettivo, era il mercato unico europeo. Oggi il settore dell’energia è cambiato, il mercato unico è istituzionalizzato e il nuovo paradigma, la priorità, è il dato ambientale. È il momento di riparlare della governance».
Addio alle grandi centrali
Che cos’è cambiato in questi vent’anni? La differenza più evidente è la scomparsa del monopolio assoluto.
L’elettricità era un’esclusiva dell’Enel, ente di Stato dal 1962, e l’Enel aveva il divieto di avere qualsiasi attività estera. Oggi l’Enel è ancora il primo produttore di corrente ma con appena il 20,5% della produzione, seguita da Eni ed Edison. Le centrali e i clienti che l’Enel ha perso in Italia si sono moltiplicati all’estero: ha impianti per 84mila megawatt e 64 milioni di clienti disseminati in 37 Paesi.
Sono state smantellate le vecchie grandi centrali a petrolio degli anni 70; oggi si produce corrente con il metano e con le rinnovabili. Resistono, ma con un impegno all’uscita di scena, i colossi a carbone come Brindisi Sud-Cerano o Civitavecchia. Nel 2017 in Italia erano stati prodotti 209,5 miliardi di chilowattora termoelettrici, 38 miliardi idroelettrici, 24,4 miliardi dal sole, 17,7 miliardi dal vento e 6 miliardi di chilowattora con le centrali geotermiche che estraggono l’energia dal sottosuolo.
Da uno a 4.500
Si dice “verticalmente integrato”. In altre parole, l’Enel faceva tutto: le centrali nucleari (oggi alla Sogin), il trasporto in alta tensione (oggi Terna), la pianificazione e i servizi (oggi il Gestore dei servizi energetici), le regole (oggi l’autorità dell’energia Arera). Il Gse, anche con le sue società controllate, da gestore di incentivi, mercati e flussi informativi, si è conquistato sul campo il ruolo di gestore della transizione energetica in favore dello sviluppo delle fonti rinnovabili e dell'efficienza e, più in generale, della decarbonizzazione e promozione di nuove forme di produzione e utilizzo dell’energia. «Coltivando l’ambiente», aggiunge Vetrò, «si coltiva lo sviluppo sostenibile».
Le aziende di vendita della corrente sono 470, gran parte delle quali con piccoli numeri e grandi sequenze di telefonate insistenti a tutti noi. I produttori elettrici che con le loro centrali immettono corrente nei fili sono 4.500 (decine di migliaia se si contano anche gli impianti fotovoltaici sul tetto dei capannoni industriali e delle case).
Consumatori reattivi
Secondo le rilevazioni 2017 dell’autorità dell’energia Arera, il numero di clienti domestici è 29,5 milioni, di cui 18,1 nella “maggior tutela” con le tariffe regolate dall’authority e 11,4 milioni nel mercato libero. Una ricerca condotta di recente dagli analisti di Bain emerge che continua a crescere la quota dei clienti che scelgono il mercato libero dell’energia elettrica: a fine 2018 le piccole e medie imprese sul mercato libero sono pari al 58% (4,3 milioni di utenze) e le famiglie al 46% (13,5 milioni) con picchi superiori al 50% in Umbria, Emilia Romagna e Piemonte e un’altissima incidenza nelle fasce d’età dai 20 ai 40 anni.
Nel 2018 sarebbero stati più di 120mila gli italiani che, dopo aver saltato il pagamento di una o più bollette luce e gas, hanno cercato di cambiare fornitore di energia nel cosiddetto “turismo dell’energia” alla ricerca di modi per non pagare le bollette. In testa Calabria e Sicilia. «Le società hanno la facoltà di rifiutare la richiesta di stipula non solo qualora a seguito della consultazione di apposite banche dati il profilo del cliente sia giudicato non sufficientemente affidabile o moroso», spiega Facile.it.
Vecchi e nuovi
Sul mercato ci sono nomi consolidati, come l’Edison che a fine ’800 impose al mondo l’elettrificazione e che oggi risponde alla parigina EdF. Ci sono stranieri, come Iberdrola o Engie. Ci sono nomi nuovi e nomi nuovissimi (per esempio è nata Energia e poi ha cambiato nome in Sorgenia). C’è stato il processo di fusione: Aem Milano e Asm Brescia si sono unite in A2a, le centrali dell’Aem Torino hanno catalizzato anche altre attività con Amga Genova, Amps Parma, Tesa Piacenza e Agac Reggio Emilia.
Chi paga di più
Un aspetto percorre inalterato i decenni, ed è la scelta di politica sociale ed economica sulle tariffe. La costanza sta nel far pagare sempre alle piccole e medie imprese e alle famiglie ad alto consumo le bollette più orgogliose d’Europa, e ciò consente ad altri - alle famiglie a basso consumo e alle grandi industrie energìvore - bollette molto più leggere.
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