È venuto il momento in cui tutti noi europei dobbiamo chiederci, individualmente e collettivamente, quale futuro immaginiamo per l’Europa. Non è un compito facile. Ognuno di noi avverte che attraversiamo un periodo di transizione. E ciò accade a livello locale, regionale, nazionale, europeo e globale. La domanda che aspetta risposta è se, e come, la Ue arricchisce la nostra sfera personale, ci consente una vita migliore e ci rafforza come comunità.
Inoltre, l’Europa dovrà sviluppare il suo spirito imprenditoriale e innovatore e focalizzare l’attenzione sui problemi che i cittadini affrontano ogni giorno. Punti critici sono la casa e i trasporti pubblici, la cura dell’infanzia, l’istruzione professionale per le nuove generazioni e la formazione continua, come pure la sicurezza e la sostenibilità economica delle pensioni.
Il dilemma che ci assilla è che molte di queste criticità sono considerate oggetto di politica interna. Ora non ci sono studi in cantiere a Bruxelles per trovare soluzioni, perché queste sono estranee al mandato legislativo e normativo della Ue. Sul lungo periodo, occorre puntare verso gli Stati Uniti d’Europa, con un governo europeo legittimo, e con un sistema previdenziale e fiscale centrale. Questa è la mia visione per l’Europa nei prossimi 25-50 anni.
Come arrivarci? Il luogo migliore per nuove idee potrebbe essere in un altro Paese europeo. Faremmo bene a imparare dai nostri vicini e adottare le buone pratiche attuate all’estero.
Gli austriaci, per esempio, hanno trovato un sistema intelligente per assicurare nuove abitazioni nella loro capitale, e hanno dato impulso alla costruzione di alloggi a prezzi accessibili. Gli svedesi sono riusciti a introdurre, a livello nazionale, una tassa sulle emissioni di CO2. Gli estoni hanno da insegnarci sulla facilità dell’amministrazione elettronica. Altri Paesi potrebbero avvantaggiarsi nel copiare il sistema di apprendistato in vigore in Germania. E gli olandesi hanno impostato il loro regime pensionistico su basi più eque e sostenibili di tanti altri.
La Ue farebbe bene a incoraggiare il più possibile questi rapporti tra Stati allo scopo di cercare nuove soluzioni. Attingere a questa riserva di idee, finora poco esplorata, e attivare uno scambio di informazioni sociali, da un lato all’altro dei confini nazionali, servirà a spazzar via gran parte di quella presunta astruseria che circonda ancora il progetto europeo.
Ancora meglio, così facendo tutta la società civile potrà assumere un ruolo più attivo. Man mano che le idee e le soluzioni più innovative vengono diffuse dai mezzi di comunicazione, gli istituti di ricerca e i gruppi di esperti nei vari Paesi si dedicheranno a reperire e valutare spunti e suggerimenti provenienti da oltre confine.
Se si sapranno sfruttare queste idee, si stimolerà una collaborazione diretta su singoli problemi e progetti, allargata a tutti gli Stati dell’Unione, una collaborazione transfrontaliera che potrà essere estesa anche a iniziative e interventi a livello locale o municipale. In questo modo, la rete della comunità si trasformerà in una comunità di reti intelligenti.
È un luogo comune dire che l’Europa è più grande della somma delle sue parti, ma è altresì profondamente vero che l’Europa raggiungerà il suo reale potenziale solo quando Stati, regioni, città e cittadini da un capo all’altro dell’Unione saranno coinvolti direttamente nell’analisi e nell’attuazione di soluzioni che si sono rivelate efficaci al di là dei loro confini. È questa la nuova dimensione che occorre trovare all’Europa. E sono convinto che rappresenterà un passo avanti decisivo verso gli Stati Uniti d’Europa.
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