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Manca un progetto per rilanciare l’economia

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Manca un progetto per rilanciare l’economia

L’Ue e il governo si rimpallano la responsabilità dei problemi economici dell’Italia. Ma quali sono, almeno in teoria, le opzioni di politica economica?

1. Undici anni fa l’Italia cadde in una depressione economica. Secondo i manuali, per uscirne occorrono politiche keynesiane espansive.

2. Le principali sono due: svalutazione e deficit spending. Sono keynesiane se lo scopo ultimo è migliorare le aspettative e indurre una ripresa autonoma della domanda.

3. I Paesi dell’euro, soprattutto se ad alto debito pubblico, possono farle solo parzialmente e in modo equivoco (perciò le aspettative non migliorano come in Giappone e Stati Uniti), a causa dei princìpi di Maastricht.

4. Riformare l’euro per consentire vere politiche keynesiane è impossibile, per motivi politici e procedurali; le poche riforme proposte da Germania e Francia vanno nella direzione opposta.

5. Si potrebbe sciogliere l’euro in modo consensuale: ma in Europa prevale la volontà di mantenerlo in vita. Non per dei vantaggi economici su cui nessuno più s’illude. Ma perché si ritiene che l’euro porti dei vantaggi politici: “la pace”. (Ma l’Europa è stata in pace dal 1945 al 2002 senza l’euro e con la moneta unica la litigiosità si è impennata).

6. Politiche espansive coordinate, o a livello dell’Ue, l’Europa non vuole farle, se non in modo limitato e mediocre. Perciò esse hanno a stento salvato l’Eurozona dalla crisi, ma non i Paesi ad alto debito.

Questo il quadro generale. Esistono inoltre tre via d’uscita “nazionali” piuttosto difficili.

7. Politiche keynesiane non standard: sfruttare il balanced budget multiplier, alzando simultaneamente le tasse (sulle fasce medio-alte) e la spesa (investimenti, contrasto alla povertà assoluta) a saldi invariati; spostando i fondi pubblici “a basso moltiplicatore” verso voci più espansive. Tale manovra, più debole di quelle standard, è politicamente difficile a causa della rigidità del bilancio.

8. La ricetta liberista: la “svalutazione interna” (deflazione/lowflation) raccomandata dall’Europa e perseguita da Monti e Padoan. Consiste nell’abbassare l’inflazione sotto la media europea per aumentare la competitività e le esportazioni nette. Sia la svalutazione del cambio sia la svalutazione “interna” abbassano i prezzi/costi domestici, e deprimono il denominatore del rapporto debito/pil. Ma se la prima è immediata, la seconda richiede un lento calo del costo del lavoro nominale, “flessibilità” nel mercato del lavoro (Jobs Act), l’indebolimento dei sindacati grazie all’austerità e alla disoccupazione. Questa strategia deprime l’economia per molti anni, durante i quali – come in una chemioterapia – gli effetti collaterali sono diffusi: distruzione di capacità produttiva, calo degli investimenti (stasi della produttività), problemi sociali, perdita di competenze, emigrazione giovanile, “lotta fra poveri” e rifiuto dei migranti, estremismo politico. Ma è pur sempre una via d’uscita. In Spagna e Irlanda la manovra è riuscita anche perché la recessione è stata così brutale (disoccupazione superiore al 20%) da provocare un rapido calo dei salari. In Italia invece la competitività sale più lentamente, e Trump comincia a reagire al nostro crescente surplus commerciale. Usciremo dalla depressione prima che gli effetti collaterali distruggano il Paese?

9. L’uscita unilaterale dall’euro con ridenominazione in lire del debito e/o ristrutturazione. Consentirebbe una svalutazione del cambio, manovra espansiva che si addice a un Paese con alto debito pubblico e disoccupazione. La successiva crescita degli introiti fiscali e del pil ridurrebbe il rapporto debito/pil. Tuttavia la fase di uscita potrebbe avere costi elevatissimi.

10. Ma è possibile uscire dall’euro in maniera ordinata? Sì, ma solo con la collaborazione dell’Ue/Bce, negoziando un accordo. I tedeschi (Schaeuble) hanno chiarito nel 2015 la loro unica condizione: che il debito pubblico non venga ri-denominato nella nuova moneta nazionale, cosicché i risparmiatori tedeschi non abbiano a subire perdite (sui Btp). D’accordo, ma ciò implica un impegno della Bce a stabilizzare gli spread (in cambio di un accordo, anti-ciclico ma ferreo, per ridurre il debito). Ma chi in Italia ha la statura politica per concepire e portare avanti un simile progetto?

• I sovranisti, contrariamente a quanto lasciano intendere, non sono in grado di uscire dall’euro, perché in conflitto perenne con l’Europa. Hanno valori divergenti, e vogliono uscire anche dall’Ue. In un clima di tensione simile, un accordo tanto delicato diventa impossibile.

• I populisti non sanno neppure quale accordo negoziare, come, e poi come gestire l’uscita. (Ovviamente è folle pensare di attivare la democrazia diretta su una simile questione).

• Paradossalmente, solo un governo europeista potrebbe uscire dall’euro.

M5S e Lega spacciano le loro politiche per keynesiane, ma sono privi di un progetto di uscita dalla depressione economica. Si limitano a re-distribuire senza “re-”, perciò salgono spread debito e disoccupazione. L’Ue vuole la chemio-deflazione generale, la cui gratuità offende gli italiani. Il Pd, per allinearsi con l’Ue, confonde le politiche keynesiane con quelle populiste. Il problema dell’Italia è questo.

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