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La fiducia è un bene comune

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mind the economy

La fiducia è un bene comune

Due storie terribili e allo stesso tempo esemplari, tragicamente istruttive. Rendono evidente il perché la fiducia sia un bene così fragile e anche perché, al contrario, la sfiducia e la diffidenza possano essere così tenaci, contagiose e pervasive. È necessario comprenderlo perché comprenderemo, così, il rischio che si corre quando, per fini strumentali, si getta discredito su intere categorie di persone ed organizzazioni. Ce ne sono parecchie, oggi, sotto attacco: in una spigolatura rapida possiamo individuare i giornalisti, gli intellettuali, le ONG, il terzo settore, gli esperti, la Chiesa di Papa Francesco, l'Europa, qualunque cosa una espressione così generica voglia dire. In anni recenti lo furono, in egual misura, i magistrati e le varie “caste”, prima che chi allora le attaccava diventasse “casta” a sua volta. Sparare a zero in maniera generica e indistinta su intere categorie di persone è un errore sciagurato, per tutti. È come sversare nel mare del dibattito pubblico, nel quale tutti nuotiamo, tonnellate di scorie radioattive, che poi rimarranno lì, ad inquinare per decenni la fiducia degli italiani nelle loro istituzioni e negli altri. Perché la fiducia non è un bene come gli altri, la fiducia è un ben comune, un common, un bene che per le sue caratteristiche, è naturalmente soggetto ad una condizione “tragica” di sovra-sfruttamento, erosione, consumo eccessivo, tradimento. Per questo occorrerebbe proteggerlo, maneggiarlo con cura, difenderlo, perché, come ci ricorda la filosofa Sissella Bok: “Qualunque cosa sia importante per gli esseri umani, la fiducia è l'atmosfera in cui ciò può svilupparsi” (“Lying: Moral Choice in Public and Private Life”, Pantheon, p.31).

Due storie esemplari, dicevamo. La prima, probabilmente, ce la ricordiamo tutti. Bernie può considerarsi il classico self-made-man. Da bagnino a Long Island fino a presidente del NASDAQ, il mercato borsistico dei titoli tecnologici. Una figura straordinaria, con una reputazione di ferro, grazie alla quale è riuscito a raccogliere per il suo fondo di investimento, risparmi per miliardi di dollari. Quando nel 2008 viene arrestato dagli agenti dell'FBI l'ammanco nei conti dei suoi clienti ammontava a circa cinquanta miliardi, ma secondo alcune fonti la cifra reale arriverebbe a settantacinque miliardi di dollari. Le indagini appurarono che Bernard “Bernie” Madoff, assieme ai suoi figli, avevano messo in atto, su scala mai raggiunta prima, la più classica delle truffe, lo “schema Ponzi”. Prometteva interessi del dieci percento annuo, non moltissimo rispetto ad altri gestori più aggressivi, proprio per non destare sospetti. Gli interessi andarono ad arricchire molte persone, fino a quando non si scoprì che questi soldi non arrivavano dalle oculate scelte di investimento, bensì dalle quote dei nuovi risparmiatori che, attratti a loro volta dalla reputazione di Madoff, gli affidavano i loro risparmi. Il castello di carte assunse dimensioni impressionanti, sostenuto dalla smania di profitto e dall'impossibilità di tornare indietro. Un treno lanciato a tutta velocità verso il precipizio, che difatti, arrivò inesorabilmente, quel dicembre del 2008.

Nei mesi e negli anni successivi alla truffa dei Madoff si ebbe un tracollo della fiducia nelle banche e nei mercati finanziari da parte di risparmiatori e investitori. Non solo i truffati, i diretti interessati, persero ogni considerazione dell'efficacia, onestà e affidabilità del sistema finanziario americano, ma anche i loro parenti, gli amici, i conoscenti, gli abitanti delle stesse città e stati, come onde concentriche che dal sasso lanciato nello stagno si allargano sempre più distanti, sempre più al largo. I dati che oggi possediamo mostrano chiaramente i segni di queste ondate contagiose di sfiducia, come dei paralizzanti crampi dei mercati che produssero diffuse chiusure di credito. Oggi la diffidenza nel sistema finanziario, anche a causa di quell'episodio, è così profonda che l'economista Ernst Fehr ha mostrato in una ricerca del 2014, come semplicemente ricordare a chi lavora nel settore bancario, il lavoro che fa, induca a condotte più disoneste in una semplice prova sperimentale (Cohn, A. Fehr, E., Maréchal, M. (2014). “Business culture and dishonesty in the banking industry”, Nature. 516, pp. 86–89).

La seconda storia narra di uno scandalo indicibile, impensabile, ma tragicamente vero. Quando nel 1972, la vicenda venne alla luce e il programma di ricerca definitivamente chiuso, si scoprì che seicento uomini, maschi di colore residenti nella contea di Tuskegee, una zona rurale e poverissima dell'Alabama, erano stati per quarant'anni sottoposti a sofferenze inutili ed evitabili, ed erano stati privati, volontariamente, delle cure necessarie ad alleviare i sintomi terribili della loro malattia. La gran parte di loro era affetto da sifilide e anche quando delle cure efficaci vennero messe a punto, negli anni ‘40, a loro i farmaci non vennero somministrati, perché l'obiettivo dei medici che li seguivano, era quello di studiare la malattia, non di guarire i malati. In cambio di pasti e funerali gratis questi uomini vennero fatti soffrire in maniera gratuita e spietata. Si consentì che la malattia venisse trasmessa tra uomini e donne e dalle madri ai figli. Quando questa ricerca e la condotta dei medici responsabili venne alla luce lo scandalo fu enorme, così come l'indignazione generale. Il programma venne chiuso dall'oggi al domani. Ma era troppo tardi e non solo per quei seicento poveretti e le loro famiglie, perché il tradimento della fiducia di quelle persone, ne contagiò milioni di altre per generazioni. Milioni di altri americani, soprattutto persone di colore, maturarono una diffidenza così profonda nei confronti della classe medica, che smisero di farsi visitare, e lo fecero così in tanti che negli anni successivi l'aspettativa di vita degli uomini di colore, negli interi USA, si ridusse di 1.4 anni. Il 35% dell'intera differenza nell'aspettativa di vita tra bianche e neri che riscontriamo ancora oggi negli Stati Uniti può essere spiegata come conseguenza di questo tradimento.

Se un politico, un banchiere, un insegnante, un sacerdote, tradisce la fiducia di chi si è fidato di lui, di chi si è messo nelle sue mani, di chi lo ha votato e di chi gli ha affidato i suoi risparmi, o peggio, i suoi figli, tale tradimento non rimane limitato alla relazione, alla singola truffa o al singolo reato, ma si diffonde come le onde generate da un macigno in uno stagno. Un politico corrotto getta la sua ombra su ogni politico che appare agli occhi dell'opinione pubblica un po' più corrotto. Una banca truffaldina, danneggia tutte le altre banche, così come un insegnante manesco getta discredito su ognuno dei suoi colleghi. Questa asimmetria genera sfaceli, perché una comunità senza fiducia è come un motore senza lubrificante, semplicemente si blocca, collassa, implode.

Per questo, gettare discredito, sospetto, ingenerare con naturalezza diffidenza è un'operazione scellerata. Perché la fiducia è un bene comune. Appartiene a tutti e tutti ne siamo responsabili. Ma per sua natura, tragicamente, con grande facilità viene distrutto, e solo con enorme fatica si può ricostruire. Avremmo bisogno di un discorso pubblico che ci aiuti ad incubare e rafforzare legami fiduciari, a punire severamente i tradimenti, e a innescare processi di accumulazione di reputazioni, buone reputazioni, di imprese, politici, gruppi, cittadini. È prima di tutto un dovere della società civile, della stampa, dei corpi intermedi, incarnare un'etica della comunicazione, che sia generativa. Occorrerebbe anche una politica capace, per una volta, di non remare contro, di capire che i beni comuni non sono una somma di interessi, ma, piuttosto, una sottrazione di egoismi.

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