Quante sono le “voci” della Lega che il leader e vicepremier del governo gialloverde, Matteo Salvini, ascolta su temi decisivi
quali politica di bilancio, euro ed Europa? Sono voci concordi o discordanti tra loro, o c'è una terza ipotesi, quella della
discordia nella concordia (o viceversa)?
Sui nomi, i primi quattro che vengono ora in mente sono con ogni probabilità quelli giusti. Giancarlo Giorgetti, numero due
della Lega e sottosegretario della Presidenza del Consiglio dei ministri, in Parlamento dal 1996 e già presidente della Commissione
Bilancio della Camera. Massimo Garavaglia, anche lui parlamentare di grande esperienza (nel 2008 fu il più giovane senatore
neo-eletto della Repubblica) e vice ministro dell'Economia. Claudio Borghi, già manager di Deutsche Bank e Merrill Lynch,
deputato eletto con le elezioni del 4 marzo 2018, oggi nello stesso ruolo che fu di Giorgetti come presidente della Commissione
Bilancio di Montecitorio. Alberto Bagnai, economista e neo senatore, presidente della Commissione Finanze di Palazzo Madama.
Di sicuro, le posizioni “storiche” dell'attacco a quattro punte su cui può contare Salvini sono diverse. Volendo semplificare al massimo, Giorgetti, politico di lungo corso, interlocutore “istituzionale” non da oggi (dal Quirinale alla Banca d'Italia e alla BCE, per esempio) è ritenuto un tessitore. Garavaglia è su una linea governista-equilibrista («la sfida è la crescita ma anche la riduzione del debito pubblico»). Mentre Borghi e Bagnai, magari con approccio e stili diversi, sono gli uomini della rottura degli equilibri consolidati, a cominciare dalle posizioni su euro ed Europa.
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Ma a ben vedere c'è di più. Nel senso che Giorgetti è stato (come relatore) uno dei padri del pareggio di bilancio in Costituzione nel 2012 e non a caso è suo anche il disegno di legge di attuazione delle relative norme. Per capirsi, nella stagione del Governo Monti, un relatore che esordisce così: «Il risanamento e la stabilizzazione della finanza pubblica rappresentano le pre-condizioni per consentire all'Italia di affrontare con successo gli scenari competitivi e registrare tassi di crescita adeguati».
Però Giorgetti sosteneva anche allora che l'Europa doveva cambiare, e molto («uscire dall'euro è impossibile ma gli italiani si sono impoveriti e cambiare l'Europa si può», ha ripetuto nel marzo 2018). E soprattutto l'attuale sottosegretario a Palazzo Chigi ebbe un ruolo chiave per affermare (al di là del titolo della legge, dove figura la parola “pareggio”) il principio dell’ “equilibrio” di bilancio che assicura una maggiore grado di flessibilità. Tanto è vero che è proprio Borghi, il 5 agosto 2018, a mettere in chiaro con un twitt che Giorgetti «dovrebbe essere solo ringraziato perché sedendo nello stesso ruolo che oggi indegnamente occupo io riuscì a modificare una versione immediatamente suicida del testo del pareggio di bilancio». Mentre Garavaglia sul pareggio di bilancio in Costituzione, nel 2012, si astenne.
Certo, l'equilibrio interno dell'attacco a quattro punte leghista cammina sul filo del rasoio. Ma il successo elettorale del 26 maggio e la partita che si apre in Europa sul terreno delle nomine non sembra lasciare (per ora) spazi agli strappi né in un senso né nell'altro. Di lotta e di governo, insomma. O di governo e di lotta.
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