È piatta ma anche no. Deve essere un choc sistemico ma non si sa bene come finanziarlo. In deficit, e per quanto? E se il
ministro dell'Economia Giovanni Tria dice che le riforme si fanno a condizione che siano finanziariamente coperte, come si
procede, che spazi reali ci sono?
Oggi 4 giugno è il “tax freedom day”, la festa che in Italia cade ben più lontana nel tempo rispetto a molti paesi europei
e due giorni dopo quella del 2018, celebratasi il 2 giugno. Con una pressione fiscale oltre il 42%, le tasse (per chi le paga)
sono una vera emergenza. E la “flat tax” sarebbe in arrivo, ammesso che il governo gialloverde risolva in tempi rapidi il problema politico della sua stessa esistenza dopo lo scossone del 26 maggio.
Ma la tassa piatta propriamente detta prevede una sola aliquota e qui le ipotesi sul tappeto indicano altro. Per cominciare
va dunque precisato che si discute di una cosa diversa che frulla nelle parole della campagna elettorale permanente.
La flat tax era un cavallo di battaglia politico del centrodestra a trazione Berlusconi-Salvini. Ma a seguito delle elezioni
del marzo 2018 (quelle che hanno segnato il sorpasso della Lega su Forza Italia) è finita nel contratto di governo tra Movimento
5 Stelle e Lega, venendo però dopo i rispettivi impegni di ferro presi su reddito di cittadinanza e pensioni “quota 100”.
E ci sarebbe da chiedersi, visti anche i risultati, se per mettere in campo il grande choc (anche con l'obbiettivo di ridurre
il debito con la crescita del Pil, questo dice il contratto) non sarebbe stato meglio giocare la carta di una flat tax vera
nel quadro di una grande riforma fiscale, di cui c'era, e resta, un gran bisogno.
Ma questo non è accaduto. Il contratto dice: «Introduzione di aliquote fisse al 15% e al 20% per persone fisiche, partite
IVA, imprese e famiglie; per le famiglie è prevista una deduzione fissa di 3.000 euro sulla base del reddito familiare. La
finalità è quella di non arrecare alcun svantaggio alle classi a basso reddito, per le quali resta confermato il principio
della non tax area».
Oggi l'ipotesi più gettonata indica, per cominciare, una strada opzionale per i contribuenti che potranno scegliere se affidarsi
alla tassa piatta (con il parallelo taglio delle famose tax expenditures, la foresta di deduzioni e detrazioni fin qui mai
potata, e che comunque significa di per sé un aumento della pressione fiscale) o se continuare con la vecchia Irpef. Ma attenzione.
Come hanno spiegato su questo giornale Marco Mobili e Giovanni Trovati, la scelta dei contribuenti dovrebbe impegnare solo i redditi medio-alti, perché l'obiettivo della tutela dei ceti medi spinge
a concentrare i tagli agli sconti (tra cui spese sanitarie e mutui, molto popolari) solo per chi dichiara una certa soglia.
Quale soglia? E quale è il prevedibile costo dell'operazione, fermo restando che (mentre è diffusa anche l'idea di abbattere
il cuneo fiscale che grava sul lavoro) nessuno vuole mettere mano agli aumenti dell'iva previsti per legge scattare il primo
gennaio 2020 e che dunque la manovra parte “cercando” 23 miliardi solo per questa voce?
La storia della tassa piatta, che piatta non è, qualcosa produrrà di sicuro: nuove sorprese.
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