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Bruxelles impone il ritorno alla realtà

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L'Analisi |tra propaganda e politica

Bruxelles impone il ritorno alla realtà

Quattro giorni fa, la Commissione europea ha reso pubblico il suo Rapporto sui conti pubblici degli stati membri dell'Unione europea (Ue). Sulla base dell’Art. 126 del Tratto sul Funzionamento dell’Unione europea (Tfeu) e delle procedure stabilite dal Regolamento n. 146/97, prendendo in considerazione i dati relativi all’andamento del deficit e del debito pubblici, la Commissione è giunta alla conclusione che, nel caso dell’Italia, quest’ultima «debba essere considerata un Paese che non rispetta i criteri stabiliti e che debba essere sottoposta a procedura d’infrazione per debito eccessivo». Secondo i dati riportati, «il debito pubblico italiano ha raggiunto il 132,2 per cento del Pil nel 2018» ed è destinato a «raggiungere il 133,7 per cento nel 2019 e il 135,2 per cento nel 2020». Si tratta di dati, non di opinioni. A cui il ministro Salvini, venerdì scorso, ha così reagito: «Se le regole europee mi dicono di non dare da mangiare a mio figlio che ha fame io che faccio? Secondo me viene prima mio figlio e i miei figli sono 60 milioni di italiani» (quasi fosse Josif Stalin che si definiva «il padre dei russi»). Una insensatezza (ma chi è il marxista che gliela ha suggerita?), che nasconde però la drammaticità della situazione che si sta creando. Vediamo come stanno invece le cose.

Primo. Non è l’Ue che “ha affamato i nostri figli”, né il nostro debito pubblico (il secondo più alto in Europa, uno dei più alti nel mondo) è il risultato della integrazione monetaria. Quel debito è un fenomeno che ha radici lontane. È passato dal 37,1 per cento del Pil nel 1970 al 121,8 per cento nel 1994, per scendere al 104,4 per cento nel 2003 e quindi risalire sistematicamente nei tre lustri successivi (a partire dalla crisi finanziaria del 2008 e nonostante la lieve stabilizzazione nell’ultima legislatura).

E’ evidente che la crescita del debito pubblico non è dovuta all’Eurozona (inaugurata all’inizio degli anni Duemila), bensì a scelte italiane, anche se la governance e le politiche dell’Eurozona non hanno aiutato a contenerla. La tendenza del nostro debito a crescere era stata già rilevata dalla Commissione durante la negoziazione (nell’autunno del 2018) per la legge finanziaria del 2019. Il compromesso trovato allora (una correzione del deficit al 2,04 per cento) si è dimostrato un modo per posticipare il problema, invece di avviarne la soluzione. La Commissione europea è stata perciò costretta a rilevare che, con il peggioramento delle prospettive di crescita e considerando politiche di spesa (in particolare “quota cento”) che hanno peggiorato il disavanzo pubblico, il debito italiano si è infilato in una traiettoria di non-sostenibilità (che verrebbe accelerata da nuovi provvedimenti come la flat tax). Dunque, la raccomandazione della Commissione è il risultato della non-volontà del governo italiano a fare i conti con la logica di funzionamento dell’Eurozona (e con gli interessi legittimi degli stati membri di quest’ultima). È da qui che bisogna partire.

Secondo. Un Paese membro dell’Eurozona può essere sottoposto a procedura d’infrazione per deficit o per debito eccessivi (o per entrambi). La procedura relativa al debito è senza precedenti, mentre ben 38 sono state le procedure d’infrazione per deficit eccessivo avviate dalla Commissione fino al 2016 (l’Italia è uscita da una di esse nel 2011). Nessuna procedura è giunta alla sua fase finale. La raccomandazione della Commissione (resa pubblica mercoledì scorso) dovrà ora ricevere una replica argomentata del governo italiano. Se la Commissione deciderà di continuare la procedura, nonostante quella replica, la sua decisione dovrà essere poi valutata dal Consiglio dei ministri economico-finanziari dell’Eurozona (Eurogruppo del 13 giugno), quindi da quelli di tutta l’Ue (Ecofin del 9 luglio), dopo una preliminare analisi del Comitato economico e finanziario costituito dai tecnici dei ministeri dell’economia (che si riunirà la prossima settimana). Se è vero che spetterà agli organismi intergovernativi decidere se accogliere o meno la raccomandazione della Commissione, è anche vero che la loro decisione sarà seriamente vincolata. Sulla base delle norme previste dal Six Pack (cinque regolamenti ed una direttiva approvati nel 2011) e quindi dal Fiscal Compact (trattato intergovernativo firmato nel 2012), i ministri economici e finanziari dell’Eurozona, senza la partecipazione al voto dell’Italia (Art. 126.13 e 136.2 del TFEU), potranno rifiutare la raccomandazione della Commissione solamente attraverso una maggioranza qualificata rovesciata. Ovvero, per fermare la procedura d’infrazione, occorrerà il voto contrario di almeno il 55% dei membri dell’Eurogruppo rappresentanti almeno il 65% della popolazione dell’Eurozona (Art. 238.3.a del Tfeu). Poiché l’Italia è isolata rispetto agli altri 18 membri dell’Eurozona, difficilmente potrà promuovere una simile maggioranza contraria alla decisione della Commissione. E, comunque, sarebbe sufficiente la coalizione tra un grande Paese (come la Germania che rappresenta circa il 25% della popolazione dell’Eurozona o la Francia che ne rappresenta il 20%) e pochi altri Paesi per impedire la formazione di quella maggioranza. Pertanto, la decisione della Commissione non sarebbe contrastabile. Con la conseguenza che, per riportare il debito pubblico italiano su una traiettoria discendente, saremo costretti a fare scelte dolorose. Se non bastassero, potremmo essere obbligati a costituire un deposito infruttifero pari allo 0,2% del Pil (3,6 miliardi di euro), che potrebbe essere incrementato se la situazione non migliora, come “ammenda adeguata”. Inoltre, potremmo essere esclusi dalla distribuzione dei fondi strutturali della politica di coesione. È di come evitare tutto ciò che dovremmo giungere a discutere.

Insomma, invece di parlare a vanvera di “bambini affamati dall’Europa”, il governo italiano dovrebbe convincere la Commissione a sospendere la procedura sanzionatoria sottoponendole attendibili dati statistici e macroeconomici che smentiscano le sue valutazioni. Se ciò non bastasse, allora dovrebbe pensare a come costruire una maggioranza qualificata rovesciata nell’Eurogruppo. Non è dunque il caso di ritornare nella realtà, sostituendo la propaganda con la politica?

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