C'è un problema complesso da risolvere, che necessita di spese (pubbliche) ingenti? Come un riflesso condizionato ecco che prima o poi spunta e rispunta la richiesta di un “Piano Marshall”. Che è un modo di proporre una soluzione grande e grossa, per dire tutto e niente insieme nel Paese delle “cabine di regìa” e delle “task force”, dove l’eccezionale è pescato sistematicamente nelle vesti del jolly vincente dopo aver verificato che l’ordinario è fermo, una pagina sbiadita dopo innumerevoli promesse politiche o inceppato chissà dove in quale piega (legislativa, burocratica) della pubblica amministrazione, centrale o locale che sia.
Di recente, un “Piano Marshall” pluriennale è stato evocato dal presidente della Camera, Roberto Fico, a proposito della lotta alla mafia, che «va sconfitta una volta per sempre». E nel tempo, sono innumerevoli le richieste che si richiamano al piano del generale americano George Catlett Marshall. Politici, governanti, sindaci, sindacati, associazioni: un piano Marshall è ogni giorno dietro l’angolo.
Intendiamoci. I problemi insoluti da decenni per i quali lo si invoca sono spesso serissimi. Sicurezza, lavoro, sanità , territorio, trasporti, istruzione, Sud, natalità, migranti, giustizia, periferie. Insomma, di sicuro tutte le riforme mancate o iniziate e poi lasciate cadere. Ma poi c’è altro, ovvio. La mobilitazione invocativa è contagiosa e capillare: un Piano Marshall è stato chiesto dai commercianti della Montagna pistoiese per la mancanza di neve e da un'associazione amica del mare per una discarica di eternit e “bidoni sospetti” a Piano Gatta, accanto al cimitero di Agrigento. Un piano Marshall è auspicabile per il randagismo nel salernitano, per i ponti nel cremonese, per gli affreschi della bassa Umbria. E il piano di rinascita è stato chiesto per lo spopolamento dai piccoli comuni sardi e dai piccoli comuni siciliani della Valle d'Halaesa (monti Nebrodi) per la viabilità. Gli esempi potrebbero continuare molto a lungo, da Nord a Sud.
Di sicuro, agli atti della storia ci sono la grandezza di quel piano e dell’uomo che lo realizzò. Capo di stato maggiore dell’esercito americano durante tutta la seconda guerra mondiale, poi segretario di Stato nel governo Truman e segretario alla Difesa nel 1950, nel 1947 all'università di Harvard presentò il suo piano per un programma di assistenza economica all'Europa distrutta dalla guerra, richiesta che doveva però venire dall’Europa stessa nel quadro di una stretta cooperazione. Il piano fu poi rifiutato e contestato duramente dall’allora Unione Sovietica e dai Paesi satelliti Ungheria, Cecoslovacchia e Polonia. Il generale Marshall, accreditato di una ruvida essenzialità, venne insignito del Premio Nobel per la pace nel 1953 e morì nel 1959.
All’Italia andò un miliardo e mezzo di dollari dell’epoca e, come ha scritto la storica Adriana Castagnoli, «di fatto la volontà di Washington di fare del Piano Marshall l’occasione per riformare e per modernizzare rapidamente e profondamente il Paese ebbe a confrontarsi e scontrarsi con una politica di sostanziale e prudente conservazione da parte della classe dirigente italiana». Appunto. Anche il discorso del 1947 ad Harvard in cui Marshall presentò il progetto di ricostruzione dell’Europa durò appena 11 minuti. Era uomo di poche parole ma di molti fatti. Bisognerebbe ricordarlo anche per questo, prima di invocarne il Piano.
© Riproduzione riservata