Martedì 11 giugno, in occasione dell’Assemblea Biennale di Assonime, presenteremo un Quaderno che ripercorre l’impegno sul fronte legislativo e istituzionale dell’Associazione negli ultimi due decenni. Il titolo dà il messaggio: “L’economia italiana tra riforme e regressione”. Mentre non sono mancati interventi riformatori anche rilevanti per allineare il nostro quadro istituzionale ai partner europei, il bilancio complessivo è deludente. L’atteggiamento del legislatore è stato ondivago e caratterizzato da passi in avanti subito contraddetti da repentini mutamenti di rotta.
Tra i risultati positivi dell’ultimo ventennio possiamo annoverare la modernizzazione del diritto societario e del mercato dei capitali, insieme alla disciplina della concorrenza e la regolazione economica dei servizi a rete, con il presidio di Autorità indipendenti. Vi sono stati importanti adeguamenti delle regole nazionali al diritto europeo, su temi chiave come i requisiti di capitale delle banche, i controlli societari, la tutela dei dati personali, la protezione dei consumatori e l’ambiente, le società partecipate dal settore pubblico, i contratti pubblici. Ma la qualità dell’attuazione è stata debole tutte le volte che erano in gioco gli interessi organizzati e, soprattutto, il controllo politico di posti, appalti e mercati di fornitura pubblici.
Il sistema fiscale resta per molti aspetti opaco e distorsivo, a causa di un insieme di agevolazioni e trattamenti speciali fuori di ogni misura. Ogni Governo ritiene sua prerogativa apportare cambiamenti anche radicali al sistema delle imposte, senza considerare i costi dell’instabilità normativa per l’attività d’investimento e senza prestare attenzione alla coerenza delle misure adottate con il resto del sistema. Un riequilibrio del prelievo a favore delle imposte indirette sarebbe opportuno, ma oggi appare più probabile che l’aumento dell’Iva sia indispensabile per reperire gettito e che non vi sia spazio per abbattere il prelievo sul lavoro e l’impresa.
Un arretramento importante si è avuto con la nuova legge sulla crisi d’impresa, che ha smantellato i capisaldi della riforma realizzata tra il 2005 e il 2012, con cui si era dotato il Paese di una versione del Chapter 11 americano, tornando a un sistema prevalentemente liquidatorio e attento agli interessi dei creditori più che alla continuità dell’impresa.
Le due principali sfide ancora aperte per rendere l’Italia un contesto più attraente per vivere, lavorare e investire riguardano la riforma della pubblica amministrazione e la qualità delle leggi. La pubblica amministrazione avrebbe bisogno di essere gestita, responsabilizzando i suoi dirigenti e valorizzandone i poteri discrezionali. Invece, l’azione politica si è concentrata su aspetti di facile impatto mediatico, come la lotta ai “fannulloni”. Il moltiplicarsi di episodi di corruzione ha condotto alla creazione di un apparato di controllo preventivo paralizzante che andrebbe ripensato, passando a una impostazione legata alla valutazione ex post dei risultati dell’azione amministrativa.
Quanto alla qualità delle leggi, vanno ricostituiti rigorosi filtri tecnici all’interno del Governo e del Parlamento per assicurare che nuove norme siano introdotte solo quando costituiscono uno strumento necessario e proporzionato a risolvere un problema ben identificato. Effetti particolarmente negativi sulle aspettative degli investitori sono prodotti dalle leggi che minacciano la stabilità dei contratti.
Nel complesso, l’economia italiana mantiene grandi punti di forza, ma il quadro istituzionale per l’attività d’impresa non migliora e continua a impedire una significativa ripresa degli investimenti e dell’occupazione, soprattutto nel Mezzogiorno. Il contesto legislativo e regolamentare non ha creato incentivi sufficienti a superare la dimensione patologicamente piccola delle imprese, che non permette di sfruttare i vantaggi della globalizzazione dei mercati e delle nuove tecnologie. Il nostro sistema economico appare poco attrezzato a gestire i radicali cambiamenti in atto nel contesto competitivo.
Guardando avanti, occorre riprendere il cammino delle riforme abbandonate, ricostruendo un equilibrio sostenibile nel bilancio pubblico e affrontando i fattori di blocco della modernizzazione dell’Italia.
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