Hanno vinto in Europa ma non sono in pratica neanche presenti in Italia, se non a titolo di azione politica laterale. Sono i liberali e i verdi che le elezioni europee hanno premiato un po' dappertutto a fronte dell'erosione dell'asse socialdemocratici-popolari e dell'affermazione (Francia e Italia punte di diamante accanto alla conferma ungherese) dei partiti sovranisti o nazional-populisti, che però (sono anche divisi) non hanno i numeri per ribaltare l'Europa come ipotizzavano prima del voto del 26 maggio.
I liberali e i verdi, si pensi in generale al gruppo Alde, ai Ciudadanos in Spagna, ai verdi tedeschi che i sondaggi danno ora come il primo partito della Germania e ai verdi francesi, terzo partito sul suolo francese in diretta competizione con i liberaldemocratici di Macron, hanno i voti per dare anche loro le carte in Europa e contare di più a livello nazionale. Molti giovani, spesso idee fresche, non prigionieri delle ideologie e neanche delle politiche anti-debito ad oltranza (ma indisponibili a violare le regole comuni: giusta la procedura d'infrazione se l'Italia non ha piani credibili, ha detto Annalena Baerbock, leader dei Grunen). Insomma dei riformatori pragmatici, chi neoconservatore (i liberali) chi neoambientalista (i verdi), quelli tedeschi in questo ben oltre l'effetto emozionale sulla scia di Greta Thunberg e assai diversi dagli stessi cugini francesi, per certi aspetti più “tradizionalisti”. Del resto, come ha scritto su Le Figaro lo storico Yuval Noah Harari, il liberalismo è in crisi di passaggio in Europa, dal vecchio “menù fisso liberale” alla “mentalità del buffet”. Ma sempre di liberalismo si tratta.
E in Italia? Un deserto o quasi, a volte attraversato solo dai radicali italiani con spunti nuovi anche se con scarsa fortuna all'esito delle elezioni. I liberali propriamente detti sono di fatto estinti da tempo, sfiancati dall'irrilevanza politica, dai personalismi e dall'accademismo élitario. E la mancata “rivoluzione liberale” promessa ma non attuata da Berlusconi ha completato il quadro, spingendo i liberaldemocratici a sinistra, dove hanno trovato solo l'approdo per qualche seggio parlamentare. Un ruolo politico attivo, sì, ma il più delle volte di testimonianza.
Quanto ai verdi italiani il discorso è un filo più complesso, ed è vero come dice Monica Frassoni, co-presidente del Partito verde europeo (Sole 24 Ore, domenica 9 giugno) che in Italia i verdi, pur fermandosi al 2,3%, hanno aumentato i voti. Dicono (assieme ai colleghi francesi) un “no” tondo al tunnel della Val di Susa (ma sì alla Tav nel Sud) e il superamento della logica sinistra-destra è ancora un' incompiuta. L'ambientalismo visto (anche) come una grande opportunità di lavoro e sviluppo scommettendo con decisione sulla green economy (alla quale già si devono 3 milioni di occupati verdi) e evitando il riflesso condizionato del vecchio anti-industrialismo è una sfida da vincere per la politica italiana. Ermete Realacci, politico di lungo corso, presidente della fondazione Symbola e presidente onorario di Legambiente, non entrò nelle liste del Pd per le elezioni del 4 marzo 2018. La strada è in salita.
© Riproduzione riservata