Il tema del risparmio e dei risparmiatori italiani campeggia, da tempo, nelle argomentazioni macro e micro economiche di tutti coloro (studiosi e operatori) che si occupano di temi che includono i due importanti ed essenziali argomenti, antitetici, del consumo e del risparmio su cui, com’è noto, sono poggiati i gangli del sistema economico di uno Stato. Gli economisti hanno esaminato il tema sul piano macro e il risultato che scaturisce è sempre identico da decenni: gli italiani titolari di un reddito, o almeno la gran parte di loro, hanno una spiccata propensione al risparmio.
L’affermazione è, tuttavia, di massima e deve essere affinata con una serie di rivisitazioni da rapportare alla condizione soggettivo-reddituale di ciascun soggetto rispetto alla situazione economico-finanziaria del sistema Italia. In ogni caso è certo che siamo un Paese di formiche e non di cicale.
Agli studi e affermazioni degli economisti - operatori macro - devono, tuttavia, essere congiunte quelle dei microeconomisti e, quindi, degli aziendalisti e degli operatori d’impresa che ci sono più familiari.
L’inquadramento nel contesto economico delle aziende rispetto al Paese, presente e passato, riteniamo sia essenziale al fine di poter abbozzare considerazioni prospettiche.
L’Italia è soggetta, da almeno un decennio, a una crisi dell’economia reale che ha avuto effetti molto pesanti sulle imprese e che ha raggiunto il suo culmine a partire dal 2009 e si protrae, seppur in maniera più ridotta, fino ai giorni nostri.
La crisi ha trascinato nel baratro economico-finanziario molte migliaia di imprese di piccole e medie dimensioni, ma anche molte imprese grandi e non di meno ha colpito il sistema bancario tutto, provocando la riduzione forzosa dello stesso in termini sia quantitativi che qualitativi.
Il risparmiatore italiano ha visto variazioni sostanziali e, talvolta, immediate che hanno totalmente mutato, suo malgrado, le possibilità di scelta di investimenti dei propri risparmi. A ciò si aggiunga che stiamo parlando di un tipo di risparmiatore, quello italiano, che fino alla fine degli anni 80 era abituato a investimenti “sicuri” nel mercato dei titoli di Stato (di qui l’appellativo di Bot people per i risparmiatori italiani) e dei buoni postali indigeni che assicuravano rendimenti certi e valutati, dagli stessi, come adeguati.
La crisi reale del sistema ha travolto anche i risparmiatori, non salvando alcuno di essi, anzi creando situazioni oggettive di grande incertezza, a cui sono seguite manifestazioni di ogni ordine e grado in termini di offerte di tipologie di investimenti da parte del mercato finanziario che hanno dato luogo a non pochi problemi per lo stesso.
Non crediamo di essere esagerati nell’asserire che la reputation del sistema finanziario che nel nostro Paese è notoriamente bancocentrico è scesa da qualche tempo ai minimi storici.
Il risparmiatore italiano mai avrebbe voluto non dover più credere alle indicazioni dettate dalla “propria banca”, come lui stesso la definiva, ma un insieme di fatti accaduti lo ha fatto ricredere.
La gran parte di questi fatti ha portato alla fine delle banche stesse, che ha visto la scomparsa di molti marchi storici attraverso un intervento degli istituti di credito dell’intero sistema che ha inciso non poco sui già gravati bilanci delle aziende-banche in vita.
Il risparmiatore odierno, che non ha perso la sua propensione a essere tale, si trova a muoversi oggi in uno scenario del tutto nuovo. Lo stesso è caratterizzato da un numero di istituti di credito molto ridotto in termini numerici, con un’evidente volontà da parte degli organi di vigilanza degli stessi di propendere (senza tuttavia ancora espletare una moral suasion evidente) sempre più verso un’ulteriore concentrazione degli stessi, per generare grandi gruppi bancari caratterizzati da maggiori competenze da parte dei manager e degli operatori tutti, applicando severe sanzioni alle banche controllate rispetto a eventuali comportamenti irregolari da parte di ciascuno dei manager o degli operatori stessi.
Il nuovo panorama descritto comporta un atteggiamento da parte degli uomini di banca molto più prudente e rigoroso, ciascuno in relazione ai propri ruoli e alle responsabilità senza, tuttavia, poter sconfinare nell’immobilismo o nell’eccessiva lentezza nelle decisioni e nelle azioni per evitare di rimanere ai margini di un mercato altamente concorrenziale.
Tutto ciò è da contemperare con un atteggiamento del risparmiatore che non delega più (o lo fa molto meno) la gestione dei propri risparmi alle banche, consapevole di operare in un mercato in cui, seppure egli sia sinergico rispetto al sistema economico-finanziario, i suoi risparmi, se investiti, saranno sempre meno remunerati e basati su tipologie sempre più complesse e meno comprensibili in via immediata. Il risultato dell’operare in questo contesto è quello di un totale “stallo” del risparmiatore. Questo significa, in buona sostanza, che nelle banche aumentano i depositi e diminuiscono gli investimenti: banche liquide, quindi e risparmi giacenti in conti correnti non remunerati.
Che fare dunque? A ognuno i suoi compiti. Banche semplici, chiare e professionali e risparmiatori più preparati e consci del rapporto crescente rischio/rendimento.
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