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Il riscatto del Sud passa dal capitale sociale

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SISTEMA PAESE

Il riscatto del Sud passa dal capitale sociale

(Ipp)
(Ipp)

Il Mezzogiorno è tornato recentemente sotto i riflettori in seguito a due vicende diverse ma emblematiche di quella che un tempo si definiva “questione meridionale”. Poiché, a proposito tanto dello stabilimento della Whirlpool di Napoli che del complesso dell’Ilva di Taranto, si è in presenza di un dilemma cruciale, ricorrente più volte nella storia e nello scenario del nostro Sud: ossia, la possibilità o meno di un processo di sviluppo economico e sociale che si regga su solide basi e assicuri crescita e occupazione. Che è lo stesso interrogativo, dunque, posto da una lunga serie di vertenze sindacali e di tavoli di confronto al Mise, negli ultimi tre anni.

Nel caso della succursale campana della multinazionale americana dell’elettrodomestico - che dopo la minaccia del ministro Luigi Di Maio di revocare tutti gli aiuti pubblici finora concessi alla capogruppo in base a un accordo stipulato a ottobre, ora si dice «impegnata a trovare una soluzione che garantisca la continuità industriale e i massimi livelli occupazionali del sito» - non sappiamo ancora quanti posti di lavoro saranno salvati.

Quanto al caso della grande acciaieria pugliese, si tratta invece della messa in cassa integrazione, da parte dell’ArcelorMittal, di 1.400 dipendenti, per cinque settimane, in seguito a un’improvvisa restrizione delle condizioni internazionali del mercato. E tuttavia, dopo una gestione senza proprietà, di cinque governi e quattro commissari, durata oltre sei anni, in cui si sono persi 3,6 miliardi di euro, e nel mezzo di una complessa opera di risanamento ambientale ancora in corso d’attuazione, non possono naturalmente mancare i motivi di preoccupazione.

Inoltre, poco ci è mancato che seguitasse a protrarsi il blocco dei cantieri per i lavori pubblici e le infrastrutture nel Mezzogiorno, se non fosse giunta in extremis un’intesa del tutto personale fra i due vicepremier del governo gialloverde sulla riforma del codice degli appalti, dopo un estenuante braccio di ferro, dovuto anche a contrapposti calcoli politici di ordine strumentale. C’è almeno da sperare che adesso possano infine partire le prime tranche di investimenti decennali, a cominciare da quelli per i trasporti e la logistica, indispensabili per ridurre il gap sul versante delle infrastrutture materiali e immateriali che affligge da tempo le regioni del Sud, non senza, peraltro, ricadute negative sull’intero sistema Paese.

Intanto occorre dare il via alla realizzazione delle “zone economiche speciali”, che, dopo il varo stabilito dal precedente esecutivo, sono ancora in attesa di un apposito credito d’imposta; nonché a un’accelerazione del piano di digitalizzazione delle reti dell’Italgas, per il quale è già disponibile una parte delle risorse necessarie.

Su un altro fronte, quello che riguarda il ruolo delle amministrazioni regionali, c’è da chiedersi se e quando sarà possibile impiegare in modo più efficace e congeniale ad appropriati parametri di qualità i fondi strutturali europei, destinati per lo più (sino all’85% dei casi) alle aree del Mezzogiorno. A giudicare da quelli relativi al ciclo 2014-2020, la maggioranza degli stanziamenti per le politiche di sviluppo e coesione territoriale sono stati polverizzati in una miriade di progetti, nell’intento di esaudire il più possibile una massa di richieste a livello locale per il compimento di iniziative minute o di corto respiro, senza alcun effettivo riscontro concreto. Per di più, non tutti i fondi sono stati utilizzati alla fine del 2018, a causa di un circolo vizioso fra pratiche istruttorie incomplete, mancanza di un cofinanziamento nazionale e vera e propria insipienza.

Oltretutto, dopo che tra il 2016 e il 2017 era stata avviata in forma sperimentale (con il Decreto per il Sud) una politica di programmazione, è venuta successivamente a mancare una strategia propulsiva che valga a dare ossigeno al Mezzogiorno ai fini di una crescita di risorse economiche, di livelli occupazionali e di produttività. Eppure si sono delineate frattanto nuove opportunità di sviluppo nell’area del Mediterraneo in seguito all’espansione dei traffici e dei rapporti di scambio del mercato globale: senonché, grazie a una migliore logistica, è stata nel 2018 la Spagna a beneficiarne, al punto da sorpassare l’Italia nell’export agroalimentare.

Di fatto mai, negli ultimi cinquant’anni, si è manifestato in termini così evidenti il pericolo di una polarizzazione così marcata fra il Centronord e il Sud del Paese. Ma, per sbloccarla, una precondizione determinante risulta, insieme allo sradicamento della malapianta mafiosa, anche una svolta nella cultura sociale locale rispetto a certe tradizionali remore alle innovazioni e ai retaggi del clientelismo politico e del familismo amorale.

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